Gli inizi della Congregazione sull’esempio del Cottolengo
Quando Teresa Michel torna ad Alessandria dopo la morte del marito la città sta cambiando rapidamente e non è facile capire le profonde trasformazioni sociali in atto. Tuttavia una cosa è evidente: i poveri, i mendicanti, le persone in difficoltà sono più visibili che in passato. Sono in aumento e chi è sensibile alla loro condizione si chiede cosa fare. La storia di Giuseppe Cottolengo apre gli occhi di Teresa Michel sulla realtà dei poveri e le suggerisce di visitare quest’opera a Torino. Il libro sul santo torinese è un regalo di un parente, il canonico Prelli, già amministratore del sanatorio per malati di mente di Alessandria, sacerdote particolarmente sensibile alle problematiche sociali. L’opera di Giuseppe Cottolengo[1] era iniziata nel 1827 per accogliere tutti quelli che non avevano alcun posto dove essere curati e assistiti. La prima visita di Teresa Michel è del 1892. L’Istituto fondato da Giuseppe Cottolengo si estendeva in quegli anni su di un’area di circa ventimila metri quadri, compresi terreni e fabbricati, fra i quali la prima chiesetta intitolata ai santi Antonio abate e Vincenzo de’ Paoli, noti come santi della preghiera e della carità. Nel 1842, alla morte del santo, l’opera intitolata significativamente alla Divina Provvidenza, accoglieva circa 14.000 persone, tra malati di ogni tipo, portatori di handicap, bambini abbandonati, donne in difficoltà: tutti i “rifiutati dalla vita” – come si diceva allora – che dovevano trovare un posto nella casa, secondo il volere del fondatore[2].
Dopo 50 anni l’opera si era profondamente radicata nel tessuto urbano torinese, ed era divenuta un punto di riferimento per la Chiesa e la società della città nella quale il nuovo sviluppo industriale aveva accresciuto le dimensioni del problema assistenziale e caritativo. Per la Michel la scoperta del Cottolengo è una rivelazione, e dopo la prima visita all’Istituto scrive: “A mia vergogna devo dire che io, piemontese, poco sapevo delle meraviglie che la Provvidenza faceva da anni in quell’angolo di Torino”[3].
L’incontro con l’istituto del Cottolengo è fondamentale per comprendere i successivi sviluppi dell’opera di Teresa Michel. Tornata ad Alessandria volle aprire nella sua città una casa della Divina Provvidenza, sul modello di quella di Torino, a cui diede il nome di Piccolo Ricovero. Il Cottolengo divenne per Teresa Michel un modello a cui ispirarsi per dare una risposta alle tante domande dei poveri che bussavano alla porta della sua casa, ma anche per trovare una risposta concreta alle crescenti, personali, domande di fede.
Va anche rilevato che Torino in quegli anni per il mondo cattolico, non è solo il Cottolengo. In quella che sta diventando la prima città industriale d’Italia si intesse una rete di relazioni in cui si mescolano spiritualità e iniziative sociali. Teresa Michel non perde occasione per conoscere ed approfondire le diverse esperienze di questo tessuto di preghiera e carità del capoluogo piemontese. Anche i francescani della parrocchia di San Tommaso divennero infatti per la donna alessandrina un punto di riferimento. Qui era attivo un gruppo del terz’ordine di cui facevano parte molti cattolici laici impegnati a vari titoli nella società torinese dell’epoca. Tra gli altri: Paolo Pio Perazzo, attivista della Conferenza di San Vincenzo, promotore dell’Opera della Buona Stampa e membro della Società Operaia Cattolica Torinese; Francesco Monelli, medico specialista del “Cottolengo”; Luigi Gullino presidente del comitato diocesano della Lega anti-massonica (sorta nel 1894), consigliere comunale e futuro presidente dell’Unione Operaia Cattolica di Torino (1898-1905); Carlo Alberto De Matteis, anche lui consigliere comunale e presidente della “Lega per il riposo festivo”; Agostino Balma, futuro direttore a Torino del collegio di don Orione. Il sodalizio che si raccoglie attorno ai francescani della parrocchia di san Tommaso, è soltanto un esempio per comprendere la vivacità dell’associazionismo cattolico torinese, che si sviluppa attorno all’indirizzo fortemente sociale del mondo cattolico a seguito dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. I cattolici furono spinti ad organizzarsi a diversi livelli proprio sul piano sociale. Non fu solo il mondo operaio ad essere coinvolto in questo fenomeno, ma a più ampio raggio sorse un associazionismo di tipo religioso, teso a coagulare i fedeli laici attorno ad una spiritualità fatta di devozioni e pietà popolare che trovò in quegli anni nuovi spunti e un rinnovato vigore[4].
[1] Su Giuseppe Cottolengo (1786-1842), fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, vedi la voce di M. Forno, Giuseppe Benedetto Cottolengo, in AA.VV. Il grande libro dei santi,Ed. San Paolo, 1998, Vol. II, pp.1004-1007.
[2] G. Maritati, L’arca della carità: vita di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, Roma, 1998, p.125
[3] C. Torriani, La Signora Madre, op. cit., p.52.
[4] AA.VV., Chiesa e religiosità in Italia dopo l’Unità, II, Milano, 1973, pp.154-176
Quella affinità spirituale e feconda tra il Cottolengo e la Michel…
I santi presentano sempre delle sorprese sia per le esperienze che vivono sia in quelle che generano o sviluppano nella reciproca interdipendenza spirituale. Si ispirano e si sollecitano a vicenda, per realizzare in modo più radicale e più coerente il precetto evangelico dell’amore. Talvolta lo scambio cresce fino a diventare un’affinità spirituale che potenzia le loro forze e caratterizza e configura in modo unico le loro opere. Queste, sebbene mantengano la loro identità originaria, tuttavia mostrano collegamenti e connessioni e suscitano evocazioni e richiami particolari. Ecco uno dei casi esemplari, avvenuto nella vita della Michel a contatto con quel grande eroe della carità che è stato il Cottolengo.
—– L’appuntamento
Il grande Pascal ricordava che nella fede come nell’amore i silenzi sono “più eloquenti delle parole”. Forse è proprio per questo che non si conoscono del tutto, in maniera approfondita, i dettagli del rapporto fondante tra la Signora Michel ved.va Grillo e il Cottolengo. Il poco che sappiamo, però, è sufficiente a cogliere il forte legame fra questi due santi: Giuseppe Benedetto Cottolengo e la Beata Teresa Grillo Michel. L’origine sta in quell’episodio noto ai conoscitori e devoti della Michel.
In una lettera datata 2 luglio 1900, indirizzata al cugino, l’Avvocato Federico Pasquarelli, Teresa Michel, che dopo la morte del marito provava tutta l’amarezza della solitudine, acuita dalla mancanza di fede e dell’amor di Dio, e credeva quasi d’impazzire, racconta: ” Pensai di rivolgermi alla Madonna…essa mi guarì…lessi avidamente dei libri religiosi e trovai un pascolo, un conforto al mio spirito stanco, al mio povero cuore addolorato. Mi venne in mano il libro del Cottolengo. Lo lessi, non ne avevo mai sentito parlare prima e mi venne il desiderio di andare a Torino a visitare quel monumento della carità cristiana. Mi vergognai di essere arrivata a 36 anni, ne avevo tanti allora, e così vicino a Torino, senza averlo mai sentito nominare. Mi sentii vinta e caddi in ginocchio davanti a quel Dio d’amore che aveva ispirato a quella santa anima (il Cottolengo, n.d.a.) tante belle cose e lo pregai che m’aiutasse a fare un po’ di bene anch’io. Da quel giorno mi sentii trasformata e incominciai una nuova vita. Una vita non più per me, com’era stato fino allora, ma per gli altri” (cfr.A.P.S.D.P.) .
Dal Torriani sappiamo poi che, secondo quanto narravano le Suore anziane, dopo che il cognato medico, il dott. Arrigo, l’aveva visitata e sferzata perché collaborasse alle cure, fu la stessa teresa ad inviare la domestica Paolina a chiamare il cugino canonico Prelli, al quale raccontò di quella voce dolcissima che la incitava: “Perché Teresa vuoi morire? Tu devi guarire perché devi diventare madre di tanta povera gente!”
Alla richiesta di spiegazioni da parte di donna Teresa su che cosa volesse dire diventare madre di tanta povera gente, Mons. Prelli fu davvero illuminato e le parlò del Cottolengo, facendole arrivare il libro sul santo, la sera stessa ( cfr. Torriani, La Signora Madre, ed. 1988, pagg. 49,50,51).
Da quel momento tutto cambiò e in casa Michel, come vivacemente racconta lo stesso Torriani, si cominciò a passare di sorpresa in sorpresa. Sempre secondo don Carlo Torriani, la visita al Cottolengo di Torino avvenne qualche giorno dopo, in compagnia di un’amica e l’esplorazione della Piccola Casa della Divina Provvidenza, la fece entrare in un nuovo mondo: “La ‘laus perennis’, la carità fraterna, gli atti più umili trasformati negli atti più meritori, più sublimi, la fecero convinta che i miracoli sono di ogni minuto…e deliberò di vivere eroicamente questa fede. A ogni risoluzione teneva però dietro, (confessò a una benefattrice) uno strano monito ‘non qui o Signore’ ” (ibidem, p.52). Non è una precisazione da poco quest’ultima sottolineatura del Torriani, perché dal contesto verrebbe da pensare alla Michel come ad una convinta seguace, quasi ‘novizia’ in pectore del Cottolengo. Invece le fu subito chiaro, e questo colpisce, che non era chiamata lì, ma a trapiantare altrove quello che il Signore le stava mostrando in quel momento.
—– La grammatica dell’amore
Quanto è successo dopo, più o meno, lo conosciamo. Scopo di questo articolo non è quello di raccontarlo, ma quello di rifletterci. S. Bernardo insegna: Come chi non sa il greco non può comprendere chi parla greco, né chi parla latino può essere compreso da chi non sa il latino, così il linguaggio dell’amore è barbaro per chi non ama…Coloro invece che dallo Spirito Santo hanno ricevuto la capacità di amare, avendo compreso il linguaggio dell’amore, sono in grado di rispondere con un linguaggio adeguato, cioè con opere di amore e con iniziative di bontà” (79° Sermone sul Cantico dei Cantici). Mi sembrano parole che dicono bene ciò che avvenne nella nostra Beata, e l’intesa che si creò entro le mura della Piccola casa della Divina Provvidenza, fra l’anima di san Giuseppe Benedetto Cottolengoe la futura fondatrice delle Piccole Suore della Divina Provvidenza. Non solo fu deposto nel suo cuore, dallo Spirito Santo, il seme dell’amore, ma ella apprese anche la grammatica del linguaggio d’amore. In partenza c’era un’esperienza amara, simile a quella di chi si trova in un paese di cui ignora totalmente la lingua: diviene estraneo, solo, incompreso. Così era la Michel, nella sua depressione, isolata come in una soffocante prigione, è stata liberata per le preghiere di Maria, attraverso l’opera di un santo: il Cottolengo.
Un’altra grande mente, il famoso cardinale Henry Newman, in uno dei suoi sermoni parrocchiali, diceva: “La fede orienta le opere e ne delinea il programma, l’amore le compie…Noi siamo salvi non per la fede sola, né per le opere, ma per l’amore, che nello stesso tempo consuma il visibile e sale verso l’invisibile…La fede può fare un eroe ;solo l’amore può fare un santo “(cfr. in Newman, il coraggio della verità, lib.ed.vaticana, 2000).
Fede e opere da sole non bastano, se non sono trasformate dall’amore. Si può essere credenti coraggiosi e lottatori eroici, ma per essere santi è necessario l’amore intimo, profondo e totale: “Se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla” (1 Cor.13,2). Mi è piaciuta molto quella ‘confidenza’ di donna Teresa, al cugino avvocato: “Una vita non più per me, com’era stato fino allora, ma per gli altri”. Una vita spesa, quella di Madre Michel, come già quella del Canonico Cottolengo, a fare felici gli altri, soprattutto quelli che il mondo considera come ‘infelici’. Essi hanno capito quella frase di Cristo citata da Paolo, secondo la quale c’è “più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35). Essi sono fra quei ‘pochi’ di cui possiamo dire quello che scriveva il romanziere cattolico Georges Bernanos: “Il segreto della felicità è trovare la propria gioia nella gioia dell’altro”. La Michel e il Cottolengo, questa gioia l’hanno assaporata fino in fondo.
—– Svegliare il santo
È davvero importante nella vita trovare un maestro, ed è vero che in molti cristiani sonnecchia il santo. Il maestro è colui che lo desta. Il maestro che ha svegliato ‘la santa che era in donna Teresa’ è stato certamente il Cottolengo. Lei ha avuto la fortuna di incontrare un maestro che era anche un santo che diceva, simpaticamente di se stesso: “Ripeto sempre che voglio farmi santo e sono sempre una birba, ma colla grazia di Dio voglio proprio farmi santo”.
Fra i nostri due, come di molti altri santi fra loro, è scattata una ‘simpatia soprannaturale’, la quale proviene da un’influenza segreta, misteriosa, indefinibile, e si manifesta con un’attrattiva inesplicabile: il presentimento di trovare in chi la ispira, la guida designata da Dio.
Curiosità conclusiva è che anche per il Cottolengo tutto cominciò con un libro. Il canonico Valetti, infatti, che gli era particolarmente affezionato, un giorno gli mise tra le mani la vita di san Vincenzo de’ Paoli: “Leggete questo libro- gli disse-così quando ci troveremo in ricreazione avrete qualche bel fatto da narrarmi” ( Giovanni Barra, Quando l’amore si fa pane, p.38). Sebbene né il Cottolengo né la Michel fossero uomini di cultura, proprio dai libri trassero il genio della loro ispirazione. Dice don Barra, a proposito del Cottolengo, ma lo direbbe anche della Michel, che coi libri si spara più lontano che coi cannoni. Un libro può essere più esplosivo che una bomba. Le grandi rivoluzioni si sono fatte coi libri: il Vangelo per il cristianesimo, il Corano per l’Islam, L’Enciclopedia per la Rivoluzione Francese e Il Capitale per il marxismo. La miccia che fece esplodere la rivoluzione della carità del Cottolengo fu la biografia di S. Vincenzo de’ Paoli, per la Michel fu quella del Cottolengo stesso. Non è solo un fatto curioso, che ha dato origine a quel turbinio di progetti che si agiteranno prima nella mente e poi nelle opere dei due fondatori, ma un fatto tante volte successo nella storia della spiritualità. Per questo è così importante fare ciò che si è sempre fatto nella vita cristiana, anche se si è consumato poi un colpevole oblìo negli anni della contestazione, (ma pare esserci ora una buona ripresa), e cioè leggere le vite dei santi e farle leggere e conoscere agli altri. E’ un vero e proprio apostolato, se si pensa che addirittura può generare dei nuovi santi. Introducendo la vita di don Orione del Papasogli, Il Card. Siri si augurava che: “…si riaccenda il culto delle vite dei Santi, troppo frettolosamente messo in soffitta e troppo necessario perché la verità abbia la documentazione dei fatti”. Questo nel 1974 e Siri è stato un buon profeta ma già era più volte intervenuto sull’argomento, come voce fuori dal coro. In una lettera pastorale del 1963, per es. notava: “Non dimentichiamo che una vita cristiana in cui manchi la lettura di biografie di santi è una vita privata d’un soprannaturale fascino e d’una recondita forza…Resta sempre ero che sono gli esempi a suscitare slanci generosi e dedizioni grandi” (Lett. Past. 1963, Rivista Diocesana Genovese, 1963, pp. 192-245).
Sarebbe stato interessante studiare i parallelismi e le influenze che la spiritualità e la vita della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino hanno avuto, e magari continuano ad avere nell’opera delle Piccole Suore della Divina Provvidenza fondate dalla Beata Teresa di Alessandria: il primato della preghiera, la centralità dell’Eucarestia, l’Adorazione Eucaristica, la scelta dei più poveri, ma non si è potuto fare in questo articolo. Certo il comune, evangelico, appassionato amore ai più poveri fra i poveri primeggia e sorge dal cuore di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, il quale aveva voluto, tra l’altro, che nel “Vi Adoro” delle orazioni quotidiane si aggiungesse un ringraziamento speciale a Dio per la dignità concessa di essere servi di Cristo, nella persona dei più poveri tra i fratelli. Diceva alle sue Suore, il Fondatore: “Siate sempre come sulle ali per volare in aiuto dei poveri…non fatevi chiamare due volte…interrompete qualunque occupazione, anche santissima” (cfr. in G Barra, loc.cit., pag.84). Come non pensare all’esortazione di Madre Teresa Michel alle sue Figlie ad essere: “… come una fontana posta sulla pubblica via, ove tutti possano attingere soccorso ad ogni ora” o a paragonare le Piccole Suore della Divina Provvidenza al “… platano della strada che è di tutti e non appartiene a nessuno, che, in qualsiasi ora, sotto i suoi curvi rami, tutti ripara i passeggeri, senza eccezione alcuna”.
La conclusione più bella però di questi poveri pensieri, mi piace prenderla dalle parole illuminate del Vescovo di Alessandria Mons. Charrier: “Ad alcuni si fanno dei monumenti dopo la morte, e sono di pietra o di bronzo, quindi non parlano; i santi ‘fanno dei monumenti in vita’…che parlano lungo i secoli. Teresa Grillo Michel ha costruito uno di questi monumenti…proprio qui ad Alessandria: è il suo Istituto Divina Provvidenza. Chi varca le sue porte incontra un miracolo permanente” (cfr in R. Lanzavecchia, T. Grillo Michel, Rusconi 1991, p. 9) .
È così, soltanto entrando in questo miracolo, o divenendone in qualche modo partecipi, anche varcando la soglia di quell’Istituto che, non senza ragione, alcuni definiscono il ‘Cottolengo di Alessandria’, altri ‘il Piccolo Cottolengo della Michel’, si potrà cogliere qualcosa di quel gemellaggio originante il carisma michelino. A noi rimane, ancora una volta, di costatare la veridicità del principio: “I santi sono generatori di santi”.
Mons. Claudio Jovine