L’attesa del cuore dell’uomo

Visualizza immagine di origine

 

Perché aspettiamo, chi aspettiamo?

C’è nel cuore dell’uomo una attesa di felicità e di salvezza, di senso e di speranza. Quello che il commercio mette in atto è solo un segno di una attesa profonda. Non serve scagliarsi con furore giacobino contro i sentimenti tenui, ma è necessario andare oltre per ritrovare la bellezza della nostra umanità e della ricerca esistenziale che la caratterizza. Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace. Il nostro mondo continuamente in conflitto crede di essere condannato a una perenne conflittualità mortale. Il triste inganno del venditore di almanacchi che illude gli uomini che l’anno prossimo sia migliore del precedente sta sospeso come una spada di Damocle sulle nostre vite. La nostra esistenza è un continuo ritorno? È un supplizio di Tantalo che si vede sempre allontanare la risposta ai suoi bisogni soprattutto quando sembra di averla raggiunta? Questa attesa scritta nelle nostre vite da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e filosofi ha avuto una risposta: il bambino di Betlemme, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente.

Le TV, la stampa, i corrispondenti, gli storici, i commercianti, gli uomini d’affari, gli ambasciatori erano tutti concentrati a Roma. Quello era il centro del mondo, lì si decidevano le sorti di tutti. A Betlemme invece c’erano due giovani sposi, due immigrati (perché non se n’erano stati a casa loro!?) in cerca di un albergo, un alloggio, una casa, una stanza e han trovato una mangiatoia e dei poveri pastori, poveri senza fissa dimora. Per i rabbini, per i preti del tempio, i pastori erano persone impure, escluse dalla vita religiosa ufficiale. Sono però solo questi che sanno scoprire in un fatto della vita quotidiana, come la nascita di un bambino, la salvezza. Non era questo il mondo che contava. Come quei pastori possiamo ancora commuoverci davanti a quell’insignificante bambino e come loro “andiamo, vediamo, conosciamo… “andarono, trovarono, videro, si stupirono, tornarono, glorificavano e lodavano”. Come sempre le cose più importanti sono invisibili agli occhi. Sono verbi da coniugare per dare sapore alla nostra vita, perché in quella notte, in questa notte noi possiamo scoprire il sole. Le mille luci delle nostre case sono solo la strada per arrivare al sole. Le luci si spegneranno, ma ci porteremo via il sole che non perderemo più.

Non si tratta di scandalizzarci del consumo, ma di non perdere l’anima dell’attesa. Dobbiamo convivere con le abitudini e le operazioni commerciali con la capacità di guardare oltre.

Oggi però ci è richiesto un supplemento di atteggiamento critico e di assunzione di responsabilità perché le operazioni di consumo stanno esorbitando e stanno cancellando la memoria. Il rumore di fondo non ci permette più di stabilire e gustare un dialogo. Sembriamo due giovani in discoteca che mettono le mani alla bocca attaccata alle orecchie del vicino per dirsi qualcosa perché la voce non si sente più e gli occhi non riescono a parlare per l’intensità delle luci che li avvolgono. 

Dalla discoteca forse non si può uscire, ma la si può cambiare. C’è una attenzione al povero che non è occasionale, ma progettuale e fa parte del bilancio di ciascuno di noi o della  famiglia; c’è una decisione di spiritualità che non è sentimentalismo, ma percorso di interiorità e di meditazione; c’è un commercio equo e solidale, che mentre ti permette di esprimere gratitudine fa crescere chi è nel bisogno; c’è possibilità di accoglienza che va oltre il gesto di compassione del momento; c’è una comunità in cui decidere di fare passi semplici, ma continui nella direzione del vangelo.

Accogliere Dio che si fa come noi, non come la soluzione dei nostri problemi o la botola che chiude i nostri tombini

 A ragione il vangelo di Matteo non può non cominciare a parlare di Lui se non con un lungo elenco di nomi, che tessono la trama della storia di un popolo. Gesù è il Figlio di Dio, ma ha preso carne, lineamenti, razza, configurazione somatica, cultura, modi di rapportarsi con sé e con gli altri da un popolo. Nel lungo elenco non casuale o da registro anagrafico di Matteo ci stanno santi e peccatori, grandi e piccoli, buoni e cattivi. Ci stiamo tutti noi. Dio si è fatto uomo, ha condiviso tutto della nostra vita eccetto il peccato. La sua carne è il punto di arrivo di tutti i tentativi anche falliti di umanità di chi lo ha preceduto. Questo Figlio di Dio che ancora oggi a Natale rinnova l’Incarnazione, prende su di sé tutte le nostre caratteristiche umane, quasi somatiche. Si rimette ancora nella fila degli uomini: una fila ancora di santi e peccatori, di pacificatori e di guerrafondai, di onesti e depravati, di esuli e di occupanti. Non bada se gli uomini sono credenti o atei, mussulmani o cristiani, bianchi o neri, terroristi o soldati, drogati o sani… Tutti se li scrive nella sua carne. In essa gli chiediamo che assuma i terroristi e i kamikaze, i soldati e i volontari, gli immigrati che attraversano il mediterraneo e quelli che vi vengono sepolti, le popolazioni sballottate e schiacciate, i feddaim e gli eserciti regolari, le bande di mercenari, guerra chiavi in mano, che seminano guerra e terrore, i bambini-soldato e i poveri di tutte le favelas del mondo, i nostri giovani opulenti dell’occidente… tutti hanno un posto in quel corpo di bambino, di figlio di Dio che pure oggi non disprezza la nostra umanità, non si adatta a nessuna equidistanza o neutralità, non è di parte, ma tutti vuol riportare al Padre.

Fare Natale è per noi cristiani non disprezzare, né aver paura di questa umanità, sapere e tenere per certo che in Gesù è tutta rinnovata, purificata, amata perché sa far nascere nel cuore di chi lo ascolta il suo amore per gli uomini; sa che qualcuno di noi è disposto a lasciarsi mettere in croce come ha fatto Lui, a tenere le braccia aperte per tutti come lui, a farsi ostaggio perché sia snidato dal cuore del violento tutto l’odio che ha.

Quando andiamo in clinica a visitare un bimbo appena nato, stiamo a intuire nei lineamenti il volto del papà, gli occhi della mamma, il mento della nonna, il labbro dello zio… Poi ciascuno ci vede quello che vuole. Nel volto di Gesù cerchiamo di intuire i lineamenti della storia di questa nostra umanità, i tratti fermi del suo regno di pace e di giustizia, che sicuramente vincono le nostre paure e superano le nostre attese.

Il volto di un bimbo ti tiene il cuore sospeso, ti forza anche controvoglia a un sorriso, ti apre alla meraviglia, ti ripaga della attesa. Di fronte a Lui non puoi non uscire dal tuo torpore.

(Cfr + Domenico Sigalini)

 

Castelseprio, Chiesa di Santa Maria foris portas. Lombardia

Foto in alto: Pieter Bruegel il vecchio, censimento di Betlemme, 1566

rfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-sliderfwbs-slide