Attendere è sempre e solo essere orientati alla vita
Purtroppo spesso perdiamo tempo a preparare la morte, a pensare il male per noi e per gli altri, a impiegare le nostre migliori qualità nella produzione di disperazione e di dispersione.
È molto importante per l’uomo sapere verso chi è orientata l’attesa, perché l’attesa ha la capacità di tirarti dentro tutto, di trasformarti, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi.
È una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai nostri molteplici impulsi, per canalizzare le qualità personali e di gruppo, per noi presbiteri quelle di un presbiterio che collabora e vuole bene al suo popolo.
È tanto vero che chi non aspetta niente, perde l’entusiasmo del vivere; si sente come un pacco postale spedito: già tutto è deciso, niente di nuovo, tutto ritorna come sempre.
In questo l’attesa assomiglia molto alla preghiera, alla supplica a Dio perché ci ascolti. Ma perché devo continuare a pregare Dio, quando Lui già conosce tutto? Non è Dio da convincere, ma sono io che nel desiderare, nell’attendere ciò che chiedo sono costretto a capire più in profondità la bellezza, l’importanza, la necessità della posta in gioco e sono aiutato a vagliare la domanda, a purificare le mie intenzioni, a tener conto di un progetto di mondo più ampio del mio piccolo interesse o un progetto di chiesa che è più grande della mia parrocchia. Quando la mamma attende la nascita del figlio, già lo sta amando; quando la fidanzata attende il fidanzato si prepara a valutare la sua capacità di condividere la vita; quando un ragazzo attende il suo lavoro già sogna di impiegare le sue forze per qualcosa di bello per tutti.