È la questione della
«mancanza di coerenza».
«Sulla preghiera Gesù ci insegna, con l’esempio del fariseo e del pubblicano, di come pregavano ambedue: il fariseo si credeva giusto, ma non lo era, e pregava: ti ringrazio, Signore, perché sono giusto, non sono come l’altra gente, poveretti».
«Facciamo la traduzione: ti ringrazio, Signore, perché sono cattolico, appartengo a questa associazione, a quell’altra, a quell’altra, vado a messa tutte le domeniche e non sono come quei poveracci che non capiscono nulla». Invece, «il poveraccio» cioè il pubblicano pregava dicendo: “Signore, abbi pietà di me perché sono peccatore”.
«Coloro che cercano le apparenze, mai si riconoscono peccatori». Tanto che «se tu dici loro “anche tu sei peccatore!”», ti rispondono: «Sì, peccati ne abbiamo tutti». E così dicendo «relativizzano tutto e tornano a diventare giusti». E magari «cercano anche di apparire con la faccia “da immaginetta”, di santino, tutto apparenza». E «quando c’è questa differenza tra la realtà e l’apparenza, il Signore usa un aggettivo: “ipocrita”».
Ecco «l’ipocrisia: anche noi possiamo incominciare questa Quaresima domandandoci: qual è la mia ipocrisia? Dove io non sono coerente, mi manca coerenza tra la realtà e l’apparenza? Quando io devo truccarmi per nascondere la mia realtà?». È la questione della «mancanza di coerenza».
(Cfr Papa Francesco, 8 marzo 2019)