IN COMUNIONE

PER UN AUTENTICO SERVIZIO AI POVERI

“Quando la carità si abbassa (…) allora si raggiungono le vette più alte. E quando (…) si piega alle estreme necessità (…) vola verso le altezze”. (S. Gregorio Magno)

L’esortazione apostolica Vita Consecrata ci ricorda che “ la vita fraterna intesa come vita condivisa nell’amore, è segno eloquente della comunione ecclesiale”( VC,42).
Il termine “fraternità” ha in sé il concetto di “ fratellanza” e, quindi, di relazione di parentela tra fratelli o tra sorelle, figli e figlie di uno stesso padre o di una stessa madre, ma in più si connota dell’amore che esiste in un vincolo fraterno di carità cristiana, tra persone non legate da legami di parentela. Non a caso anticamente “fraternità” veniva usato come sinonimo di  confraternita.
Colei o colui che fonda una Famiglia religiosa ne è ipso facto la “madre” (o il “padre”) e “figli/figlie” sono considerati e chiamati coloro che ne sono entrati a far parte.
Tutto ciò di per sé è  necessario ma non sufficiente. Prendiamo, ad esempio, il caso di Madre Teresa; le sue parole sono evidenti: «Madre finora mi hanno chiamato le figlie perché le ho raccolte. Ma altra cosa è il raccoglierle e ben altra è il dirigerle e il guidarle nelle vie della predicazione!» [1].
In realtà il rapporto di filiazione non si estrinseca nei confronti della Madre religiosa (o del Padre, se ci riferiamo ad un contesto maschile), ma verso il Signore.
Recita il Catechismo della Chiesa cattolica che «fin dai tempi apostolici, ci furono vergini e vedove cristiane che, chiamate dal Signore a dedicarsi esclusivamente a Lui in una maggiore libertà di cuore, di corpo e di spirito, hanno preso la decisione, approvata dalla Chiesa, di vivere nello stato rispettivamente di verginità o di castità perpetua e per il regno dei cieli» (CCC, 922).
Anzi, questo è un dono che la Chiesa riceve dal Signore e che permette alle religiose di esprimere, nelle molteplici forme, la carità stessa di Dio, nel linguaggio del tempo(cfr.CCC, 926).
Che cosa insegnava e, quindi, che cosa “pretendeva” Madre Teresa dalle proprie figliole?

In estrema sintesi possiamo rispondere:

  • carità (sublime)
  • unione (fraterna)
  • umiltà
  • apostolato
  • preghiera.

Passiamo brevemente in rassegna questi cinque pilastri, alla luce prevalentemente delle sue stesse dichiarazioni (tratte da lettere o da testimonianze dirette o altri scritti in possesso delle Piccole Suore della Divina Provvidenza.

 1) La carità sublime

La carità verso Iddio deve trovare la manifestazione immediata, concreta e perseverante nella pratica caritatevole verso tutti i “minimi”. Diceva, infatti: «L’amore verso Iddio ha una prova inequivocabile nella pratica dell’amore del prossimo. (…) Amate ardentemente il Signore nella persona (…) dei poveri, dei piccoli, degli afflitti, per soccorrerli, istruirli, consolarli…» [2]. Nella pratica della carità aggiungeva una dose di femminile e materna dolcezza:«Ai bambini, ai malati, sorridete e fa bene al cuore tutto ciò che dà sorriso agli occhi, che parla per se stesso di luce e di vita (…)ne accresce il benefico fascino (…) apostolato di pace, di carità» [3].

 2) L’unione fraterna

Dalla carità discende anche il dono e lo strumento per creare e rinsaldare i vincoli di unità fraterna tra consorelle e tra queste e le numerose famiglie, assistite all’interno ed all’esterno  dell’Opera. Dice M. Teresa al riguardo: «Amando i poveri vi amerete anche tra di voi con grande carità (…). Unite di spirito e di cuore preghiamo l’una per le altre per aiutarci a vicenda (…). C’è estremo bisogno di quella carità, di quella unione di spirito e di cuore, di quello spirito di sacrificio, come richiede la nostra piccola opera». Era questo tipo di “unione fraterna nella carità” che avrebbe consentito di “salire il monte santo di quella religiosa perfezione che ci deve unire più strettamente a Dio solo…” [4]. Un’altra lettera alle sue “figliole” contiene queste significative parole: «Meglio mille volte in poche, ma che siano un cuor solo ed un’anima sola…» [5].

 3) L’umiltà

Madre Teresa fu un campione della modestia, perché si oppose sempre alla vanità, alle pretese irrazionali, o alla eccessiva autostima.
Di lei possiamo ben dire che questa virtù è tipica del figlio di Dio ed è assolutamente necessario seguirne la via per praticare il comandamento nuovo della carità: “Dov’è umiltà, ivi è la carità” dice sant’Agostino.
Aveva scritto (3 aprile 1921): «Dico che dobbiamo compatire come noi abbiamo bisogno di compatimento, e che dobbiamo soffrire qualunque cosa piuttosto che perdere la pace, o farla perdere agli altri» [6]. Ed in un altro scritto  (1901): «(…) Ma soprattutto domandiamo l’umiltà: quando avremo questa, avremo tutto e senza di essa qualunque dote non vale nulla» [7].

 4) L’apostolato

Entriamo nel mistero del Vangelo quando M. Teresa ci insegna a compiere le opere di Dio. Alessandro Pronzato ha scritto di lei che aveva preso la decisione di svolgere un ruolo di guastafeste. «Desidera rovinare qualche pacifica digestione, spegnere qualche luce, inceppare il solito cerimoniale. Teresa Michel adempie la funzione di memoria (nel mondo dei ricchi, che era “il suo” mondo). Memoria di un altro mondo, il mondo della povertà, dell’esclusione, della sofferenza (…). Memoria della comunione, proprio all’interno del mondo dell’esclusione» [8].
È molto significativo che il primo abbozzo di Regola per la sua famiglia religiosa lo fissò sulla carta una notte, mentre vegliava una bambina morta. Come dire. non perdeva mai di vista l’essenzialità, la concretezza delle cose della vita, di cui la morte è un aspetto, anzi, l’altro.  Ne consegue che le suore ci debbono essere per i poveri, grazie ai poveri, in funzione dei poveri (non viceversa).
E questa è, a parer nostro, un’anticipazione di circa un secolo di quello che in ambito ecclesiale sarebbe diventata nota come “Teologia della liberazione”, nel senso che l’opzione della carità va tutta giocata in nome del povero, dell’oppresso e dell’emarginato.
Madre Teresa chiarisce in diverse circostanze (non stancandosi mai di farlo) il concetto di “servizio”: «Orari, pratiche, strutture, organizzazione, preghiere, ruotano attorno a questo polo: la persona del malato. Tutto deve andare a vantaggio del malato (…) non si tratta di abbandonare la cappella,  l’inginocchiatoio e neppure di ridurre i tempi di presenza in chiesa. Ma la preghiera deve mettere in piedi, meglio, in ginocchio davanti al povero» [9]. Ella non ammette che l’“osservanza” diventi pretesto per “non sporcarsi le mani”, che – ci pare –  è in linea con  il ben noto concetto di san Vincenzo de’ Paoli, che “interrompere una funzione per soccorrere un povero è in realtà continuare la preghiera” (cfr. VC, 82).
D’altronde, “coloro che Dio chiama alla sua sequela sono inviati nel mondo per imitarne l’esempio e continuarne la missione” (VC, 72).

5) La preghiera

«Tutti, credenti e non credenti, hanno bisogno di imparare un silenzio che permetta all’Altro di parlare, quando e come vorrà, e a noi di comprendere quella parola» (VC, 38). L’umiltà è il fondamento della preghiera, dunque, sapere mettersi in ascolto, aprendo il cuore a Dio. Fu così anche per Madre Teresa: «Voi sapete (scrisse da San Paolo del Brasile il 30 settembre 1901 alle suore giunte dall’Italia per aprire una nuova casa), che la preghiera è onnipotente quando parte dal cuore di una povera madre che ama i suoi figli e che non ha altro desiderio che di vederli santi …» [10].
Sappiamo dalle sue biografie, oltre che dai suoi scritti, che nel 1892, anno decisivo per la sua “conversione”, ella riponeva ogni sua speranza nella preghiera. Si abbandonò sempre fiduciosa nelle mani del Signore per ottenere i suoi “segni”. Anche quando, finita la funzione, usciva dalla chiesa, la sua preghiera non veniva interrotta, perché il pensiero continuava a mantenersi in Dio nella richiesta di quello che avrebbe dovuto fare per servirlo meglio.
«(…) Pel materiale io non ci penso, scriveva il 12 novembre 1922, ma per lo spirituale c’è tanto bisogno, e soprattutto per tenere uniti questi cuori che hanno bisogno di una parola buona…» [11]. Di lei è stato scritto: «Nel suo Dio questa donna generosa e forte trovò riposo nelle molte battaglie dell’animo suo e dell’ambiente in cui viveva (…). Ad alcuni si fanno monumenti dopo morte, e sono di pietra e bronzo, quindi non parlano; i santi “fanno dei monumenti in vita”: sono le loro opere di amore e di fraternità …» [12].

S.E.Mons. Vincenzo Bertolone , metropolita di Catanzaro-Squillace

 


[1] A.Gemma, La madre, profilo biografico della Beata Teresa Grillo Michel, Libreria Ed. Vaticana,1998, 128.
[2] . G. Amato, Lo spirito di M. Teresa Michel, Viscardi, Alessandria 1948, 26-27.
[3] Ibidem, 36-37.
[4] Lett. Del 23 maggio 1921, da Roma, in: Alla scuola di M. Teresa Grillo Michel, Piccole Suore della D. Provvidenza, Roma, 98, 99.
[5]Ibidem, 101.
[6] Ibidem, 101.
[7] G. Amato, Lo spirito di M. Teresa Michel, op. cit., 50.
[8]  A. Pronzato ,Una donna per sperare, Gribaudi, Torino, 1978, 9.
[9]Ibidem, 271.
[10] G.  Amato,  Lo spirito di M. Teresa Michel, op. cit., 38.
[11] R. Lanzavecchia ,Teresa Grillo Michel, la figura, le opere, Rusconi, Milano, 1991, 253.
[12] Ibidem, prefazione di Mons. F. Charrier, Vescovo di Alessandria.

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