Due “comandi”

PER IL MONDO

NON CON IL MONDO

“Andate, ammaestrate tutte le genti… insegnado loro ad osservare tutto ciò che vi ho ordinato.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”(Mt. 28,19-20).

Essi se ne andarono a predicare dapertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i prodigi che li ccompagnavano” (Mc. 16,20).

“Non conformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente con il rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa Dio vuole da voi, cos’è buono, a Lui gradito e perfetto” (Rm.12,2).

Due “comandi” di somma autorevolezza, due investiture che attraverso la nudità delle parole irradiano una maestà che, sentiamo, supera i toni che risuonano abitualmente tra gli uomini…

Antagonisti?
Spingono in due direzioni opposte?
Dobbiamo andare nel mondo o guardarcene?

Tutte e due le cose: i due imperativi sono convergenti sul piano di una realtà essenziale: quale? Come sempre, tutte le domande che concernono l’uomo germinano da un’unica radice: che senso ha la vita? Cos’è questo misterioso dinamismo d’una materia che si organizza e si sviluppa per forza endogena, con norme autonome, e culmina in quel misterioso prodigio che è la mente pensante? Perché di fronte all’incapacità ragionativa di un universo, pure splendido, solo l’uomo è in grado di conoscere le leggi e di dominarle? Insomma: perché viviamo, forniti di quella terribile ed affascinante prerogativa che consiste nell’attitudine ad autodirigerci?
Se abbiamo il coraggio di riflettere nel raccoglimento della nostra anima, arriviamo ad una risposta: viviamo come intelligenze (limitate) chiamate a dialogare con l’Intelligenza (infinita). Siamo scintille sprizzate da un’immensa fiamma e destinate a ritornare a questo incendio per evitare di spegnerci, cioè di distruggerci. Il senso della via é la chiamata a dare una risposta a questo interrogativo: sai che ti realizzi solo se punti su di Lui e che fallisci se devii da Lui e Lo rifiuti? È il bivio risolutivo, una scelta di grandezza epica, e perciò drammatica: la nostra esistenza si riassume nel dire sì o no. Molti dicono no, noi abbiamo detto sì: la nostra missione é di portare il nostro sì al loro no: magnifica consegna, ma esposta al rischio di inquinamento! Non capiterà mica che, invece di trasmettere un messaggio, ci lasciamo contaminare da quello opposto? Non c’è il pericolo che, invece di accendere la lucerna altrui, lasciamo spegnere la nostra?
Sotto all’inquietudine che corrode e scontenta la nostra società serpeggia proprio l’irrisolta domanda sul senso della vita: tutti lo sentono fondamentale ma moltissimi ne hanno paura e chiudono gli occhi: decidono di non pensare. È invece proprio questo pensare che dà sicurezza ai credenti, dignità alle persone, pienezza alla nostra vocazione: incoraggiare la gente a pensare, a guardare lontano, a figgere gli occhi laggiù, a fissarsi sul traguardo. Questa libertà di spirito é fonte d’una pace rasserenante, ed é condimento della nostra esistenza la consapevolezza di portarla agli altri: con circospezione però, perché é nobilissima la professione del medico, ma attento a non lasciarsi infettare dalla malattia che intende guarire. Andiamo tra tutti, ma restiamo chi siamo, altrimenti il nostro andare non ha più senso. Nella più radicata umiltà restiamo persuasi di possedere quella verità che tra i nostri contemporanei vaga annebbiata e non di rado negata ed irrisa. È un percorso complesso di cui Madre Teresa comprese a fondo la natura; scrisse infatti in una lettera non datata:

“Che cosa può offrirci il mondo che possa realmente soddisfare il nostro cuore?… Che vuoto, che miseria, che sudiciume!… Rendiamo grazie a Dio dunque di questo gran dono che ci ha fatto di avercelo fatto conoscere, e cerchiamo di condurgli delle anime, se lo possiamo…”: sintesi mirabile, nella più piana familiarità delle parole. Animata da questo spirito, avvertì la divaricazione tra i valori autentici e la trascuratezza con la quale vengono considerati:

“Le vocazioni, che avremmo bisogno di trovare numerose e forti, data la natura dei tempi, sono invece purtroppo scarse e deboli” (7 giugno 1937). Fu la sua pena, ma la seppe superare con quella fede rigogliosa che fiorisce in speranza animatrice e si sublima in carità corroborante. In un momento di abbandono, quando il cuore parla da sé, quando, senza accorgersene, ci si dipinge il più genuino autoritratto, sussurrò:

“Voglio amare e servire il Signore, e vorrei potergli dare tante anime di me più pure e fervorose, perché lo amassero e riparassero per me e per il mondo colpevole” (8 maggio 1906). È la formula perfetta di andare nel mondo senza essere del mondo. Il suo rapporto con esso aveva raggiunto il massimo grado di depurazione: il suo spirito era immerso nella luce più tersa sulla destinazione della vita: era ben vaccinata dal rischio di infezione; la sua fede aveva disinnescato le illusioni del mondo, la sua coscienza si era elevata al di sopra delle lusinghe. Il mondo è infatti nell’errore, ma possiede una penetrante forza di suggestione: la tentazione seduce e la virtù, con la sua austerità, non é sempre al coperto da una stanchezza che può alimentare abbattimento e sfiducia. L’apostolato é tanto grande che può spossare noi, così piccoli.

Madre Teresa questi adescamenti e questi banchi di afa morale li aveva certo provati, ma li aveva esorcizzati osservando acutamente la carità, che si appunta in Dio. Per il mondo, non con il mondo: Madre Teresa lo affermò con una confidenza che incanta nella sua schiettezza:
“Si ha sempre rimorso di rifiutarsi ad un’opera di carità…” (9 agosto 1923). Si capisce come abbia potuto vincere tante avversità, incomprensioni, ingiustizie lungo la sua vita operosa… si capisce come la signora, passata dalla buona borghesia ad una distinta aristocrazia, sia tornata a guidare, per le solitarie strade di campagna, l’asinello con cui raccoglieva le offerte per gli abbandonati…

 Francesco Enrico Trisoglio, FSC

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