Domenica 8 gennaio 1899 assieme ad altre otto sorelle Teresa Grillo Michel riceve l’abito religioso.
Nasce la Congregazione delle “ Piccole Suore della Divina Provvidenza”
VELI AZZURRI
Dal libro di Carlo Torriani
Il materialismo, che detta rapporti tra l’uomo e la società, senza tener conto dei rapporti di entrambi con Dio, ha provocato l’individualismo da una parte, e il socialismo dall’altra. E se i signori trovano comodo sdoppiare le loro coscienze, il proletariato – o almeno i suoi dirigenti – trova più logico dimenticare la religione. Ma nessun uomo può soffocare Dio in sè, e non potendolo soffocare, Gli si fa ostile. Abbiamo così il doppio fenomeno sempre deleterio: di una classe intellettuale cristiana solo di nome, e di masse popolari cristiane ancora in fondo all’anima, ma obbligate al «neutralismo» se non all’antireligione.
Chi poi, con spirito religioso e patriottico, prevedeva e segnalava anni fa tante incongruenze, era tacciato d’antiitaliano e di antidemocratico, e messo al bando. Si era giunti a far disertare le chiese, supplendo magari con riti massonici i riti cattolici. Si battezzava col vino (tracannato dai padrini naturalmente), si celebravano le nozze solo in municipio, si vendevano le salme dei propri parenti alle società dei funerali civili. Non potendo ancora scalzare i sacerdoti dalle chiese, si scalzavano almeno le suore dagli ospedali.
Questo avveniva in Alessandria in quegli anni in cui disgraziatamente gran parte del popolo lavoratore veniva impantanato nella melma materialistica. «Lasciate il cielo ai passerotti» si gridava da certi demagoghi sulle piazze, e i miglioramenti economici pur giusti, erano ottenuti rinnegando il Vangelo. Costatammo poi più tardi quello che costò a tutti gli italiani quel ripudio: il ripudio della morale, dell’onesta, del buon senso che la religione di Cristo insegna.
Ma in Alessandria, mentre si pensava a cacciar le suore dell’Ospedale, e a togliere i Crocefissi dalle scuole, la Divina Provvidenza faceva il suo gioco di misericordia. Faceva nascere una nuova Congregazione che, partendo da Alessandria, avrebbe portato i Crocefissi anche al di là degli Oceani.
Donna Teresa non aveva dapprima in progetto il nuovo sodalizio; era anzi ben lontana dal volerlo, perché nella sua modestia pensava solo a una piccola opera di pronto soccorso intorno ad una chiesetta di adorazione Eucaristica, e alla visita personale ai poveri a domicilio. Ma quando l’iniziativa prese maggiore sviluppo, e vennero a lei altre collaboratrici, fu necessaria una regola che legasse tutte agli stessi doveri. Anche l’Autorità ecclesiastica trovò necessario si organizzasse una congregazione; e donna Teresa ubbidì.
Nella cappella di S. Antonio, quella che doveva poi custodire la sua salma, avvenne la funzione della vestizione delle prime otto suore, domenica 8 gennaio 1899. Il nuovo Vescovo, Mons. Giuseppe Capecci, presiedette la commovente cerimonia cui erano presenti anche i parenti della Madre. Teresa Michel prese il nome di suor Maria Antonietta, in memoria della madre morta proprio in quel giorno, dieci anni prima, e in memoria dello sposo morto il giorno di S. Antonio da Padova. Maddalena Accornero assunse il nome della fondatrice, chiamandosi suor Maria Teresa, e Maria Gilet, si chiamò suor Maria dell’Immacolata.
Mons. Capecci elogiò l’Opera, convenne che la regola era un vero capolavoro, promise di prendere a cuore l’Istituzione, chiarì i concetti cristiani della previdenza e dell’abbandono confidente in Dio, ma parve non approvare del tutto il sistema della Madre; pur lodandone le virtù, esortò le consorelle a non imitarla nella eccessiva generosità. L’umiliazione di suor Maria Antonietta guadagnò altri punti in quel giorno.
Circa il nuovo nome impostosi, diremo subito che non ebbe fortuna. Si comincio da tutte a dire che le fondatrici non cambiano nome, si continuò dal popolo a chiamarla Madre Teresa, e questo nome resto. Il Santo taumaturgo non diminuì la sua protezione, che anzi fece moltiplicare miracolosamente il pane da distribuire, e le case che dovevano distribuirlo; e proteggendo la nuova opera alessandrina anche in lontani lidi, dimostro di non avere dimenticato ciò che dimenticarono invece i cittadini: che in un lontano giorno, il 20 febbraio 1755, i padri amministratori del Comune avevano unanimi determinato di eleggere S. Antonio comprotettore della città, e perpetuamente presentargli un’offerta nella chiesa francescana di S. Bernardino (ora distrutta).
L’abito indossato si distingue da quello di altre Congregazioni pel velo azzurro e lo scapolare azzurro recante l’Ostensorio.
Troviamo la spiegazione di questa scelta in una lettera della fondatrice che avremo occasione di citare altre volte, perché, scritta per tutte le figlie nel Natale del 1937, e considerata come una lettera testamento.
«Credete voi, scrive la Madre, che vi sia stato imposto senza un fine speciale, il velo azzurro soppannato di candida tela, e lo scapolare pure azzurro, con il piccolo Ostensorio racchiudente una piccola Ostia Bianca…? Oh no certo!
«Gesù voleva e vuole che il nostro santo abito ci richiami di continuo alla sua brama, che tutta la nostra vita esteriore ed attiva Gli sia offerta in spirito di Eucaristica riparazione, di adorazione perenne, ci dica che è nostra missione il diffondere l’azzurro della Fede, il candore delle Speranze Eterne, il fuoco dell’Amore Divino, tra i piccoli, tra i dolenti. Ai bambini, ai malati e vecchi sorride e fa bene al cuore tutto ciò che dà sorriso agli occhi, che parla per se stesso di luce e di vita. Il bianco e l’azzurro hanno un linguaggio mistico inteso subito e facilmente dalle loro anime avide di consolazioni.
«Sappiamolo intendere bene figlie mie, noi per prime, questo linguaggio, e il nostro apostolato armonizzi col nostro abito religioso, ne accresca il benefico fascino, sia un apostolato di pace, di carità, come fu quello degli Angeli ai poveri Pastori di Betlemme».
Anche la scelta dell’abito contiene dunque un materno sentimento di carità.
Il velo azzurro non fece che dare nuove sante energie alla fondatrice ed alle sue compagne che si sentirono veramente novizie nel raddoppiare speranze e fatiche.
Giungevano nuove probande, ma giungevano anche molte poverine da ricoverare. Crescevano le necessità, ma la fondatrice imperturbabile, accoglieva.
– Ma, signora Madre, non v’è più un letto vuoto…
– Uno c’è sempre …, il mio.
La miseria che aumentava, non faceva che aumentare la fede delle prime novizie; se non nella prima, nella successiva vestizione il pranzo di festa consiste in una polenta mal condita.
Intanto suor Maria, la missionaria, andava cercando di risolvere il problema imposto dalla Madre: ricoverare sempre per quanto i mezzi scarseggino. Viaggiando continuamente in questua, essa trovava anche case in cui fondare delle filiali, che avrebbero dovuto poi sostenere la Casa Madre. Ma per un certo tempo questo sistema non faceva che portare confusione, in Alessandria e nelle Case che si andavano aprendo.
Abbiamo già accennato alla fondazione di Villa del Bosco (e la ricorderemo ancora, trattandosi della prima filiale, che ha resistito, e che è diventata grandiosa) e alla fondazione di Nichelino. Ve ne fu una anche a Balangero, una a Moncalieri, un’altra a Lu (la fornace della Provvidenza) e una a Sale di Tortona.
A Balangero, in una cascinetta su un poggio, era andata, con la squadra di volenterose, Suor Teresa Accornero; si faceva un po’ di tutto, le contadine, le maestre dei lavori femminili, le coriste in chiesa. La casa era la capostipite delle colonie alpine, ma aveva un grande inconveniente: era solitaria, e le povere donne per recarsi a Messa al mattino dovevano scendere col lanternino, per sentieri che costeggiavano certi burroni poco sicuri.
La Madre arrivata fin lassù, per quanto ricevuta anche al suono della fisarmonica, non credette che le sue figlie vi potessero vivere tranquille. «Non me la sento, disse» e la squadra scese al piano.
Per la filiale di Moncalieri, la Madre era stata invitata ad acquistare una grande villa.
– Andiamo a vederla, – disse con la sua solita vivacità, pur non avendo un soldo in tasca.
Con altre suore, visitò minutamente palazzo e parco, progettando scuole in un salone, ospedaletto in un altro, laboratorio in un terzo.
All’uscita domandò all’incaricato dal venditore il prezzo…
– Centomila lire, rispose.
La Madre stropicciò un piede nella ghiaia del giardino, e facendo vedere ad una suora che perdeva la suola delle scarpe, rispose con la massima serietà :
– Veramente per noi è un po’ troppo… –
E la filiale si allogò poi in modeste stanze nella cittadina.
La compagnia «stringhini» era chiamata dalle novizie questa squadra volante di missionarie in cerca di lavoro e senza capitali. Si faceva dell’appetito, ma si stava allegre. L’esempio della Madre teneva altissimo il morale, anche a stomaci vuoti.
Una notte, dopo un lungo viaggio a piedi, e dopo le preghiere d’uso, una giovane azzardò domandare:
– Signora Madre, ci manda a letto senza cena?… È da mezzo giorno che abbiamo mangiato.
La Madre guardò l’orologio; erano le 23,30.
– Fate presto, figlie mie, per poter far la Comunione domani –
E tirò fuori la grande cena: un cartoccio di castagne secche. Questi ricordi le suscitavano cordiali risate, anche sul letto dell’ ultima malattia.
– Signora Madre, ci dica anche lei qualcosa della compagnia «stringhini», – le chiedevamo.
– Oh! siamo state molto originali, dichiarava – e non aggiungeva altro.