Una meravigliosa Vocazione Apostolica
Introduzione
Occorre avere un cuore puro per vedere Gesù nelle persone materialmente o spiritualmente più povere. Più sarà sfigurata l’icona di Dio in quelle creature, più grandi saranno la nostra fede e la nostra devozione nel cercare il volto di Cristo e nel servirlo con amore.
Madre Michel ha lasciato alle sue numerose figliole questo carisma e questo messaggio: la nostra vita è (deve essere) tutto un itinerario al Cielo. Per questo il suo cuore non s’era radicato più di tanto nelle cose terrene, neppure nelle preoccupazioni di ordine materiale. A questo avrebbe pensato la Divina Provvidenza. A noi non resta che rimetterci docilmente e totalmente alla volontà di Dio e non smarrire mai la fede in Lui.
Ella «sentì spontaneo in cuore il bisogno di riferirsi in ogni caso alla Divina Provvidenza, per indicare la felice conclusione di un progetto, l’aiuto giunto in un momento di necessità economica, il permesso avuto dai superiori per la realizzazione di una santa impresa, il compimento di qualche desiderio vivamente sentito.
Non per nulla alla sua Istituzione, alle religiose che ne fanno parte assegnò il glorioso titolo della Divina Provvidenza, indicativo insieme di una speranza superiore, soprannaturale, e di una certezza inconcussa nell’assistenza del Signore per la missione affidatale. Amava definirsi “piccolo strumento nelle mani della Divina Provvidenza”».
Tutto sommato, alla base del suo “senso della vita” c’è un’estrema semplicità, ma appunto per questo, mirabile e sconcertante. La nostra mentalità, che si è costruita su sistemi di sapere e si è arredata con elementi, suppellettili e beni strumentali estremamente complessi, raffinati e complicati, stenta ad identificarsi in una simile, scarna essenzialità di punti di riferimento.
Tanto che – probabilmente – non è infondata e nemmeno retorica la domanda: ma è attuale una simile vocazione apostolica?
Come recitano le “Costituzioni” (n.15), «per corrispondere alla vocazione, essenzialmente apostolica, bisogna:
– coltivare l’unione intima e profonda con il Signore;
– condurre una vita semplice e caritatevole, fondata sulla fiducia in Dio e sull’unione fraterna;
– usare un linguaggio che il mondo possa intendere;
– vivere radicalmente il carisma».
– Ecco, quello che colpisce è il richiamo, diciamo pure l’obbligo di prestare la massima attenzione al cammino della Chiesa, al suo saper prevenire, leggere “prima” le istanze della macrosocietà per potervisi plasmare, per individuare meglio, cioè con intelligente carità, le risposte di merito oltre che di metodo. Questo passo delle Costituzioni dà la misura della preveggenza illuminata della Fondatrice, il suo sapersi calare nel vivo del tessuto sociale per interpretare nel modo più giusto il messaggio di Dio ed il Suo progetto da realizzare tramite la sua umile serva. Che, poi, a ben vedere, è un ritorno alla ecclesialità delle origini, è un seguire l’invito di Paolo e dei Santi Padri ad andare incontro ai vari poveri, a tendere loro una mano, a formare con essi “ecclesia” ove mettere in comune (koinonia) tutte le disponibilità per realizzare il banchetto agapico cui l’Apostolo dedica il suo celebre “Inno”, nella sua Prima Lettera ai Corinti (1Cor 13, 1- 13; 14, 1).
Coltivare l’unione intima e profonda con il Signore
Segreto di vittoria, di riuscita e di conquista per Dio e per le anime è la preghiera. Lo afferma il Vangelo, lo conferma la storia dei santi e dei fondatori.
Madre Michel visse immersa eminentemente nell’orazione: di più fu anima contemplativa.
Questo sembrerebbe in contraddizione con la sua attività, con i suoi sei viaggi fatti oltre oceano, con il continuo rincorrere e soccorrere le necessità delle sue Istituzioni, con l’urgenza di badare a cento interessi materiali.
Il suo spirito invece si librava costantemente al cielo, ai valori soprannaturali delle cose, delle stesse fatiche benefiche cui attendeva. Amava il silenzio, ma era operosissima, pur sospirando al ritiro dalle sollecitudini materiali per concentrarsi soltanto in Dio.
Col continuo ricorso suo, e delle sue religiose, alla preghiera, si spiegano d’altronde la sua fiducia nell’assistenza del Signore e gli incrementi e sviluppi delle sue opere.
Condurre una vita semplice e caritatevole
Instancabile nel lavoro per i «suoi» poveretti, partecipò ad ogni ansia di bene, lieta di collaborare alle più diverse forme di apostolato, offrendo ad altri il proprio appoggio, la lode incoraggiante, l’aiuto necessario ricavato dalle personali rinunce.
All’occorrenza, sfruttò le risorse dell’amicizia onde cavarne la più grande gloria di Dio, il più vasto motivo di conforto interiore anche a sollievo dei fratelli indigenti e soli.
Fu sollecita specialmente delle vocazioni, dei sacerdoti, degli aspiranti a vita di perfezione, dei giovinetti, industriandosi di cercare aiuti e forme nuove per aiutarli, salvarli. Ebbe animo schiettamente missionario.
Ricchezze e beni del mondo erano stati ripudiati da lei per farne dono ai poveri: denaro, terreni e costruzioni dovevano soltanto servire per accogliere bisognosi, per creare condizioni di vita più confortevoli e asili di pace ai piccoli, ai soli, agli abbandonati.
Usare un linguaggio che il mondo possa intendere
Madre Michel non riusciva a vivere senza i poveri. In una lettera ha scritto:
«Io ho tanto bisogno dell’aiuto delle vostre preghiere, perché sono giunta ad un punto della mia vita, in cui i cambiamenti sono molto costosi, e si teme sempre d’ingannarsi e di sbagliare strada. L’andare in una Casa nuova, costruita solo per le Suore, mi spaventa e, non vedendovi più i poveri, mi pare di non avervi più il mio posto, e di aver finito la mia piccola missione su questa terra».
La Fondatrice è stata un’apostola del sociale. Lo si evince sempre leggendo attentamente il citato articolo 15 delle Costituzioni: “usare un linguaggio che il mondo possa intendere”.
Questo è l’abbecedario della scienza delle Comunicazioni: saper parlare in modo che l’altro mi intenda. In cui “altro” può essere anche “il diverso da me”, l’«alieno», cui nessuno rivolge una parola ed un sorriso. Madre Michel era consapevole però – da comunicatrice qual era – che per poter parlare bisogna saper ascoltare.
Anzi, prima si lascia parlare l’«altro» – mettendoci in condizione psicofisica per comprenderlo e, quindi, per accettarlo- e poi si dà la risposta adeguata, che è quasi sempre quella che l’interlocutore si aspetta. Grande donna la Madre Michel: intelligente, colta, attenta ai tempi, precorritrice di metodiche e di linguaggi essenziali per un operatore sociale. E, soprattutto, attenta al Primo, Grande Interlocutore: Cristo Gesù.
Che cosa debbono fare – oggi – le sue amate figlie spirituali?
Continuare, è ovvio, nel solco del carisma fondazionale, di cui altro cardine è la preghiera. E per farlo nel modo ottimale, bisogna che le “Piccole Suore” siano smisuratamente sensibili a percepire, a colloquiare e a recepire tutte le “nuove” povertà, tutti coloro che non sono amati (o che “sentono” di non esserlo), gli schiacciati, i rifiutati, tutti i più poveri, dietro i quali si nasconde Gesù come «Pane Eucaristico di compassione» per nutrire nuove fami; e per gli innumerevoli giovani delle nuove generazioni, incerti sul senso della vita oggi.
Vivere radicalmente il Carisma
Alla Signora M. Teresa la vita sembrava aver dischiuso le porte della felicità o, più semplicemente, dell’ovvietà di un’esistenza tranquilla, borghese, appagante per le soddisfazioni e le piccole – grandi gioie di un quieto vivere, sia pure senza la grande gioia della maternità, derivanti dall’aver contratto un buon matrimonio che, tra le altre cose, le aveva dato l’agio di conoscere molte persone interessanti, frequentando i cosiddetti “salotti buoni”.
All’improvviso, però, “nel mezzo del cammin di sua vita”, si trovò inopinatamente vedova e minata da una seria malattia. Come dire, un’inaspettata quanto brusca e brutale inversione di rotta! Che fare contro la volontà di Dio? Non c’è altra strada che “fare” la Sua volontà! Questo, insegna l’ascetica cristiana, è il primo dovere di chi brama avanzare nella scienza dell’anima, è il segreto della santificazione.
Madre Michel ebbe un cuore assetato della volontà di Dio. La cercò durante tutta la vita, agli inizi della sua Istituzione, la inseguì tenacemente nelle tappe successive di essa, fino agli ultimi giorni. Un’ansia di perfezione, cioè di amore di Dio, che la sosteneva e dava luce ai suoi passi.
Per questa sollecita, costante brama di sapere che cosa voleva da lei il Signore, la sua anima s’immergeva sempre più in Lui: visse di Dio.
Fu ovviamente anche una sofferenza, perché le vie del Signore passano attraverso l’oscurità, la croce interiore: ma servì a renderla più tranquilla nel suo cammino e più maternamente efficace nello stimolare gli altri a confidare, sperare, attendere Dio».
Ma – come ammonisce il Manzoni nei “Promessi Sposi” – il Signore non fa mai le cose a metà: e così, quando ci coglie un rovescio, ciò non è mai fine a se stesso, ma è preludio e telos di un evento di segno opposto. In questo procedere “strano” della volontà divina è possibile ravvisare la “legge del contrappasso”: quanto più cocente e duraturo sarà stato il “male”, tanto più incisivo e duraturo sarà il bene che ne deriverà per chi ha sofferto. Giacché Madre Teresa era stata a tal segno afflitta da desiderare la morte, il Signore le manifestò la Sua volontà di aver bisogno di lei, perché per il suo tramite avrebbe dovuto realizzare dei piani. Così, anziché morire a meno di quaranta anni, quando il Signore la chiamò era quasi nonagenaria!
Qual era il progetto di Dio? E’ presto detto: la maternità spirituale (che avrebbe ripagato – eccome! – quella naturale che non le era stata concessa) di tantissime anime sofferenti. Bastò una fugace visita alla Piccola Casa del Cottolengo a Torino (la Signora Michel viveva ad Alessandria) per farle prendere la decisione di consacrare tutto (se stessa, i suoi averi, la sua azione, il suo amore, le sue amicizie ai poveri, infelici e diseredati. All’età di 38 anni cominciò, infatti, ad accogliere orfani d’ambo i sessi in via Faà di Bruno, nella sua abitazione alessandrina che ben presto si rivelò inadeguata ed insufficiente. Quindi, acquisizione di altri locali, più idonei e, soprattutto, l’assistenza non più curata da laiche, ma da regolari Suore, spose – come se stessa – di Cristo. Questa è la storia che conosciamo tutti.
Conclusione
La volontà di Dio si palesa, a chi crede, soprattutto attraverso i dettami dell’Obbedienza. Fuori di questa c’è illusione e, spesso, inganno.
Nella obbedienza Madre Michel ricercò con avidità interiore, e trovò sempre, il segno del divino beneplacito.
Bisogna dire che, sotto questo aspetto, fu singolarmente provata – la storia della sua vita lo dimostra -, perché soffrì un dramma interiore molto doloroso, ma per un senso diverso da quello che si potrebbe supporre: non cioè perché, o soltanto perché non la trovò nella misura che avrebbe desiderato. Umile donna, senza specifica preparazione alla singolare missione che doveva svolgere, cercò con ansia una mano sicura che la guidasse nell’impresa che pareva soverchiare le sue forze. Il Signore le pose accanto anime sacerdotali e amiche di forte levatura e santità – basti ricordare don Orione e Don Capra -; ma, a tratti, sembrò levarglieli, lasciandola sola a capire la volontà di Dio, ed eseguirla.
Mentre gemeva sotto il peso di difficoltà, incomprensioni, travagli intimi o esterni di ogni genere, Madre Michel – donna forte e generosa – traeva dalla sua fede e dal suo amore al Crocifisso e al Sacro Cuore la voce consolatrice per chiedere anche agli altri – tribolati, malati, derelitti – la più generosa accettazione delle prove e dei dolori fisici e morali.
Questo fu il suo segreto calvario. Ne trasse però, singolare forza per avviare le anime a lei affidate sui sentieri sicuri della obbedienza totale, amorosa.
Tutto ciò avvenne in Lei nella consapevolezza che solo il Signore è l’unico necessario desiderabile e che all’umiltà è legata la vera sapienza che irradia attorno a sé luce e serenità, pace, beatitudine e felicità.
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