“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”
La beatitudine della purezza è una delle più profonde visioni evangeliche, tanto che nella vita dei santi non rappresenta un semplice ideale ma un “modo esistenziale” attraverso il quale costruire la propria spiritualità. Non si tratta di un concetto astratto ma di una disciplina di vita, che abbraccia diverse dimensioni della vocazione cristiana. Per Madre Teresa Michel, come per le generazioni cristiane che l’hanno preceduta, “puri di cuore” ha assunto significati diversi a seconda delle condizioni storiche vissute, delle difficoltà incontrate, del cammino spirituale intrapreso. Ma per noi, cristiani che abbiamo la grazia di vivere la fede alla luce del Vaticano II, quella beatitudine è anche un invito a lottare contro uno dei più grandi nemici del nostro tempo: l’amore per noi stessi. Quell’amore che non ci fa più guardare agli altri, ma soltanto a noi stessi, ai nostri problemi, esigenze o difficoltà. Un cuore puro – come ha scritto Benedetto XVI – è un cuore che vede. È capace di guardare all’uomo, nella sua complessità, e al mondo con l’attenzione a quei “segni dei tempi”, impossibili da scorgere se non si alza lo sguardo dall’affanno quotidiano.
Precorrendo i tempi, la chiave interpretativa sulla quale ha lavorato a lungo Madre Michel con le sue piccole sorelle è infatti il seguito della beatitudine stessa, la motivazione del “beati i puri di cuore”, quel “perché vedranno Dio” che va meditato nella sua profondità. Quella che apparentemente si presenta come una ricompensa è da leggere anche come la grazia di poter finalmente vedere la realtà con occhi e cuore diversi, tali da intuire la volontà di Dio nelle situazioni vissute, quelle contingenti e ordinarie, come quelle che riguardano scenari più ampi e complessi. Così come la fondatrice delle Piccole Suore della Divina Provvidenza scriveva con chiarezza alle sue consorelle in una circolare di Natale del dicembre 1937:
“Sforzatevi d’essere pure, nei giudizi, negli affetti, nelle intenzioni e – conformi alla divina promessa – sarete tra i beati che “vedono Dio”, ossia che sanno scorgere la sua Mano e la sua volontà amorosa in tutti gli avvenimenti, lieti o tristi, della vita terrena”.
Proprio “scorgere” la mano di Dio nel mondo è un invito rivolto incessantemente da Teresa Michel alle sue consorelle, accompagnato però dalla consapevolezza che non si tratta di un’illuminazione affidata alle nostre sensazioni o a un’analisi prettamente materiale degli eventi.
“Scorgere” e, quindi, diremmo con un linguaggio postconciliare, “accorgersi” dei segni dei tempi, è frutto di un costante esercizio e di una fedeltà quotidiana. Ne è la prova ciò che sostiene madre Michel quando afferma che “bisogna abituarsi a vedere la volontà di Dio in tutti gli avvenimenti che succedono”. Appare chiara la coscienza che non si è affatto “abituati” ad “accorgersi”, che non si tratta di un processo naturale, ma che occorre invece arrivarci con un lavoro interiore e con la propria conversione personale. La via indicata per questa “disciplina” è prima di tutto – come spiega nel “1° regolamento” delle suore della Divina Provvidenza, che risale al 1898 – “stare sempre alla presenza di Dio” e quindi in ascolto della sua Parola, punto di partenza di ogni cammino di fede. L’idea che la purezza del cuore debba essere “costruita” ogni giorno attraverso un esercizio costante appare più volte negli scritti di Madre Michel, che usa chiamarlo anche “sacrificio”, per indicare la necessità di un lavoro quotidiano sulla Bibbia, insieme alla fraternità e al servizio ai poveri, che non può essere tralasciato da nessuno, a partire dalle responsabili della sua congregazione. Né si può pensare che possa discendere da doti naturali, come spiega in una lettera a suor Maria del 1924:
“Il sacrificio è la vera, sicura garanzia dell’amore e più sapremo amare “in ispirito e verità” e più sarà sostanziale, benché non visto dalle creature, il nostro trionfo!” .
Ma c’è un altro capitolo di questa beatitudine della purezza che è legato in modo indissolubile alla vita e alle scelte operate dalla fondatrice delle Piccole Suore della Divina Provvidenza. I “puri di cuore” infatti “vedono Dio” attraverso i poveri che incontrano e di cui si preoccupano. E ciò proprio a partire dall’amore per il Signore e dall’ascolto della sua Parola, come si legge sempre nella lettera circolare del Natale 1937:
“Amate ardentemente il Signore, sappiate riconoscerlo nella persona dei Superiori per rispettarli e obbedirli, nella persona dei poveri, dei piccoli, degli afflitti per soccorrerli, istruirli e consolarli. Amate tutto ciò che Dio comanda e desidera e questo amore vi infiammerà di zelo, vi farà vincere ogni difficoltà, renderà il vostro apostolato fecondo di tutto il bene che da ciascuna di voi si è ripromesso il Cuore Divino nell’ora in cui vi ha fatto sentire la misteriosa voce della vocazione a questa Piccola Opera”.
Emerge con chiarezza, guardando alla storia delle Piccole Suore, quanto il riconoscere il Signore nelle sorelle, “nei Superiori” della comunità religiosa e “nella persona dei poveri, dei piccoli e degli afflitti” sia in sintonia non solo con le opere di carità che sin dall’inizio ha voluto creare Madre Michel, ma – come si legge nella lettera circolare – con la stessa origine della sua vocazione. E la purezza di cuore che fa incontrare Dio nell’ascolto della Parola e nella preghiera è la stessa che conduce all’amicizia con i poveri, senza che vi sia una contraddizione tra i due aspetti. Dall’esperienza di fede che vive con le sue consorelle Teresa Michel non lascia mai pensare ad un conflitto tra quella che normalmente viene chiamata “vita contemplativa” e la cosiddetta “vita attiva” perché le due dimensioni non possono essere separate. Le piccole suore della Divina Provvidenza sanno bene che si deve guardare ai poveri per conoscere Gesù, così come si legge con chiarezza anche nelle Costituzioni della congregazione che parlano di “impegno a seguire Gesù e a servirlo nei poveri in umiltà e semplicità di cuore” (Cost. 29,30). Viene in mente tutta la vita di Madre Michel, dalla sua vocazione, dai primi poveri conosciuti e serviti nella sua Alessandria fino a quelli amati in Brasile e Argentina.
È inoltre fondamentale per la fondatrice la testimonianza di purezza che le consorelle devono dare quando sono accanto ai poveri, significato dagli stessi colori, il bianco e l’azzurro, dell’abito religioso che indossano:
“Ai bambini, ai malati, ai vecchi, sorride e fa bene al cuore tutto ciò che dà sorriso agli occhi, che parla per se stesso di luce e di vita; il bianco e l’azzurro hanno un linguaggio mistico, inteso subito e facilmente dalle loro anime avide di pia consolazione. Sappiamo intendere bene, figlie mie, noi per prime, questo linguaggio e il nostro apostolato armonizzi col nostro abito religioso, ne accresca il benefico fascino, sia un apostolato di pace e di carità, come lo fu degli Angeli ai poveri pastori di Betlemme”.
In altre parole, le sorelle della Divina Provvidenza devono apparire come una luce per i tutti i poveri che si accompagnano alla loro vita: una testimonianza di purezza che viene dal Vangelo.
E infine, dagli scritti di Madre Michel, emerge anche l’idea di una purezza intesa come “purificazione” ad opera delle tempeste della vita. Una dimensione che si coglie con evidenza nella lettera che la fondatrice scrive a suor Maria nel gennaio del 1916, di fronte alle difficoltà vissute in quel momento nella casa della Divina Provvidenza a Queluz, in Brasile:
“Oh povera cara vigna di Queluz, in che stato è ridotta! Sempre disunioni, sempre bisticci, e Gesù è offeso, e il nemico trionfa. Quanta amarezza, quanto dolore in fondo a questa povera anima mia! Eppure sento che Gesù è buono, infinitamente buono, che compatisce gli sbagli fatti non per malizia ma per inesperienza e ignoranza, e ho fede che aggiusterà tutte le cose dopo tutte queste tribolazioni che ci manda appunto per purificarci, e per renderci più atte ad ottenere maggiori grazie”.
È la beatitudine di fronte alle prove che non mancano mai a chi sceglie di seguire il Vangelo e che, se vissute con fede, sono occasione di cambiamento, di “purificazione” evangelica.
Marco Impagliazzo
presidente della Comunità di Sant’Egidio