Purezza di spirito
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Si può dire che la vocazione della beata Teresa Michel sia stata ispirata in larga parte da questa beatitudine del Vangelo di Matteo (5, 8). Vivere con “purezza di spirito” fu il programma di vita al quale aderì e mise in pratica sin da giovane, anche se poi maturò in modo compiuto negli anni della scelta, quando, dopo la morte del marito, decise di dedicarsi ai più poveri e il Signore le donò la famiglia delle Piccole Suore della Divina Provvidenza.
Si tratta di una delle beatitudini più difficili da cogliere nel suo significato più profondo. La purezza non è infatti una dote naturale, ma si costruisce in una vita, come fece madre Michel con tenacia e, soprattutto, con fede. Al centro della sua ricerca spirituale c’era un solo orientamento: corrispondere alla Parola di Dio, al suo ascolto e alla sua meditazione. C’era la conoscenza del salmo 23, che chiede “chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo?” e che risponde “chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna” (3-4b). Ma c’era anche la recitazione del salmo 50 che contiene un passaggio strettamente legato alla purezza di spirito: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Ps. 50, 12). Del resto la purezza di spirito non può che essere strettamente collegata ad una preghiera, come quella espressa dai salmi. Dato che nessuno è “puro” per natura e che si può arrivare a questa condizione solo attraverso una paziente costruzione spirituale, l’invocazione risulta decisiva ed ha come prima preoccupazione la propria conversione. Non a caso il salmo 50 traccia un vero e proprio percorso interiore, a cui si sono rifatte intere generazioni di credenti, e che ha come punto di partenza la confessione del proprio peccato: è questa la premessa indispensabile per giungere alla purezza. Ed è quindi un dono del Signore, una virtù cristiana frutto del perdono e di una vita riconciliata.
È in questo senso che Teresa Michel concepì la purezza di spirito: una conversione personale da cercare quotidianamente, con la preghiera, con la vita fraterna e con le opere di carità che non sono mai mancate nella sua vita, sin da quando era giovane. Significativo l’accostamento, che faceva la stessa Beata, dell’idea di “purezza” all’idea di “pace”, due parole che, alla luce di una vita vissuta secondo il Vangelo, si intrecciano in modo indissolubile, come sottolineò nel Natale del 1937, rivolta alle sorelle della sua congregazione: “Mi pare che le lettere stesse componenti la dolce parola Pace indichino chiaramente le misteriose sorgenti di questo delizioso stato dell’anima: Purezza, Amore, Confidenza, Eroica. Sì, sforzatevi di essere pure nei giudizi, negli affetti, nelle intenzioni e – conformi alla divina promessa – sarete tra i beati che vedono Dio, ossia che sanno scorgere la sua Mano e Volontà amorosa in tutti gli avvenimenti, lieti o tristi, della vita terrena”.
In secondo luogo la purezza di spirito, come ogni altra virtù evangelica, ha un valore universale ma si colloca in un preciso contesto storico. Per Teresa Michel fu quello della prima metà del Novecento, di un’Italia ancora largamente povera e contadina e di una Chiesa segnata dalla difficile “riconciliazione” con lo Stato, poi dal fascismo e infine dalla guerra. Non a caso, nella regola data alle sue Piccole Suore, al capitolo primo, il richiamo alla purezza è legato ad un discorso più ampio sulla moralità: “L’Istituto, secondo la mente della Pia Fondatrice, ha un doppio fine. Il primo è l’esercizio di un’opera costante di riparazione al Sacro Cuore di Gesù per gli oltraggi che riceve nei suoi attributi di misericordia e specialmente nella SS. Eucaristia: un’adesione completa ai fini dell’adorazione universale, istituita in Torino allo scopo di opporre un argine di fede viva e di carità e purezza alla corrente di una vita scettica ed immorale della nostra età”. Era viva la coscienza di doversi salvare da quella che definiva come “nostra età”, una generazione con modelli lontani dal Vangelo, che costituiva una vera e propria “corrente” da “arginare”. Se si guarda alle testimonianze lasciate dai suoi scritti, si scorge la significativa insistenza con cui la Michel indicava alla sua congregazione le virtù per contrastarla e che considerava collegate alla purezza: “integrità morale, onestà, castità e illibatezza”, intese come integrità del corpo e dello spirito di fronte ad un mondo lontano dal Vangelo e da riconquistare con l’esempio.
In questo senso proprio l’esempio personale era considerato come la luce riflessa del Vangelo, che indicava in modo semplice e chiaro, in primo luogo alle sue Piccole Suore, il cammino per giungere alla purezza di spirito. Lo si può leggere dalle testimonianze rese dalle sue stesse sorelle e da alcuni sacerdoti durante il processo di beatificazione. Suor Giacinta Sala attribuisce a Teresa Michel una virtù angelica riguardo ai rapporti fraterni: “Nella vita religiosa, l’ho conosciuta come una persona riservata, delicata nel parlare, nel vestire ed in tutto il comportamento. Ricordo che quando esprimeva affettuosità nei miei confronti mi sembrava un angelo, tanta era la sua delicatezza”. Don Giuseppe Capra racconta che “traspariva da tutta la sua vita la limpidezza del suo spirito” mentre don Quinto Gho tiene a sottolineare: “Personalmente posso dire che dal suo volto e dal suo contegno spirava un qualcosa di spiritualmente affascinante che rilevava l’interiore purezza ed infondeva un senso di simpatia e venerazione”. Quest’ultima notazione sottolinea l’importanza di un aspetto particolare: l’immagine del volto in Teresa Michel, come in tutti i santi, non è solo espressione di umori legati alle vicende quotidiane, ma è rivelatore di uno stato dell’essere. È, in altre parole, un volto che parla dello stesso Vangelo ed esprime santità.
C’è infine un altro elemento che aiuta a comprendere più a fondo che cosa abbia voluto dire per la Beata purezza di spirito. È l’amicizia non secondaria, ma centrale nel corso di tutta la sua vita, con i poveri e i bisognosi, da quelli conosciuti in gioventù nella sua Alessandria di fine Ottocento a quelli incontrati in Brasile. I poveri sono per Teresa Michel i fratelli “puri” che indicano la strada da percorrere, prima ancora di essere l’oggetto di una domanda di aiuto e di solidarietà. Una via che è sequela di Gesù e del suo Vangelo. Ecco perché nelle Costituzioni delle Piccole Suore si parla di “impegno a seguire Gesù e a servirlo nei poveri in umiltà e semplicità di cuore” (Cost. 29,30). Quindi in una purezza di spirito espressa anche nell’adesione al servizio, a quel “testamento di amore” che il Signore ha lasciato ai suoi discepoli con la lavanda dei piedi, quell’abbassarsi che rende grandi ed è una costante dell’insegnamento evangelico. Non a caso, proprio pensando ad una purezza di spirito che fosse espressione della sua vocazione, Teresa Michel non volle dare alle sue Piccole Suore una regola complessa. Confessa in una lettera a Don Orione del 1901: “In quanto alla Santa Regola, quella dei Gesuiti è certamente bellissima, ma per noi mi pare che ce ne andrebbe una più primitiva, più semplice, più alla buona”. E la identificò con una sintesi semplice ed essenziale: “preghiera e poveri”.
Marco Impagliazzo
presidente della Comunità di Sant’Egidio