Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia…

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Autodominio e spirito di sacrificio

nella vita della beata Teresa Michel

 

Si legge nello “Specchio di perfezione” tratto dalle “Fonti Francescane” (Parte seconda – N. 27): “Nel tempo in cui Francesco cominciò ad avere dei fratelli e abitava con essi a Rivotorto presso Assisi, una volta, sulla mezza notte, mentre stavano riposando, un frate si mise a gridare: “Muoio! Muoio!”. Tutti si svegliarono stupefatti e spaventati. Francesco si alzò e disse: “Fratelli, levatevi e accendete un lume”. Acceso che fu il lume, il Santo interrogò: “Chi ha detto: Muoio?”. Quel frate rispose: “Sono stato io”. E Francesco: “Ma che hai? Di che cosa stai morendo?”. E quello: “Muoio di fame!”. Allora Francesco fece preparare la mensa e, da uomo pieno di affetto e sensibilità, si mise a mangiare con lui, affinché non si vergognasse di prendere cibo da solo. Volle anzi che tutti gli altri frati partecipassero al pasto”.

Una banalità? Una sciocchezza? No! Questo è l’atteggiamento dei santi; la santità, infatti, esige un autodominio che non metta anche solo nell’imbarazzo il prossimo: meglio patire noi stessi che far soffrire gli altri: scrive l’Apostolo Pietro nella sua prima lettera: “Nessuno di voi abbia a soffrire… Ma, nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pt 4, 13). Se pure alcuno crede tutto ciò una ovvietà, non lo intese così Francesco perché ben ricordava l’esortazione di Gesù: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7, 12).  I Padri di Spirito erano convinti che per praticare un autodominio nelle cose grandi, avvenimenti o decisioni che siano, bisogna essere allenati nelle piccole cose, quelle che si giudicano minori.

Questo autodominio ha fatto parte di tutta l’attività educativa della Madre; se ne hanno molte testimonianze nelle lettere di madre Michel e nei commenti del suo agire che fanno parte delle deposizioni al processo di canonizzazione. Una mi ha colpito: ad una suora che probabilmente aveva difficoltà con altre sorelle, scrive: “Tu hai già fatto un po’ di esperienza sul carattere delle persone che ti ha dato, anche di recente, occasione di provare a Dio la tua fedeltà e il tuo amore, e quindi non devi dare ai suoi scatti troppa importanza, come non ne dà alle burrasche il marinaio che le affronta con frequenza. Non dico che ti sia impossibile di non sentire, ma se ti sforzerai a dominare i primi moti di risentimento, ti troverai poi padrona di te stessa e potrai guadagnare tanti meriti, ed anche esercitare su quella persona un’influenza salutare di cui, a suo tempo, ti sarà grata…”.

Le testimonianze che si sono raccolte sulla vita della Beata Teresa Michel parlano soprattutto di virtù eroiche. A mio avviso la cultura moderna ha dell’eroismo un giudizio assai parziale e sfocato; lo si ammette per i gesti eccezionali (che a volte eccezionali non sono e che mancano di quella libertà di azione necessaria per essere veramente responsabili); è, invece, maggiormente faticoso l’eroico-quotidiano. Ne è consapevole il Signore Gesù che nel Vangelo ci conforta: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò un ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me , che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11, 28-30). Mi immagino – non posso fare altro poiché non ho avuto la fortuna di vivere accanto alla Madre – che il suo autodominio abbia sovente nascosto sacrifici, preoccupazioni, traguardi ardui, incomprensioni che hanno trafitto il suo cuore in molte situazioni, senza manifestazioni esterne che facessero supporre l’angoscia del suo cuore.

Vi sono consuetudini e usanze che non è facile vincere; eppure i santi e le persone generose sanno superare la propria educazione e la propria condizione sociale per essere accolti dai più poveri e bisognosi della nostra società; anzi il loro atteggiamento è di gratitudine e riconoscenza poiché è loro concesso di servire gli amici prediletti di Cristo Signore. Per Madre Michel questo era il comportamento, anzi lo stile ove si sprigionava tutto l’amore verso la persona che stava servendo. Questo è l’eroico-quotidiano che si traduceva in vita vissuta e amata, quasi mai “sbandierato”: la sua umiltà, frutto anche di un autodominio rigoroso, non glie lo permetteva. Non può essere diversamente. La scuola del Vangelo presenta un Gesù che “… svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2, 7).

L'”autodominio” non consiste solo nel dominare il proprio carattere, i “motu primo primi”, lo scoraggiamento nei momenti difficili della propria vita, ma mirare sempre verso quel Dio che ci chiede – certamente secondo le capacità della creatura umana – di essere perfetti come lui è perfetto (cfr. Mt 5, 48): e la Madre ha puntato verso quella Luce eterna del suo Signore.

Debbo confessare che nel leggere nel primo Regolamento della Comunità: “Operate sempre con spirito di sacrificio, e non dimostrate mai di avere schifo o ripugnanza, ma spinte solo dal vero amor di Dio, non badate se vi ringraziano, perché quanto meno riconoscenza riceverete in questo mondo maggiore premio riceverete dal vostro sposo in paradiso”, mi sono convinto che i santi e le persone di buona volontà stimano un onore e una gioia servire coloro che sono in difficoltà. Francesco di Assisi ad esempio così si esprime nel suo testamento ricordando la sua conversione: “Essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo”. Madre Michel superò le difficoltà con un tale atteggiamento che è spirito di sacrificio ma è gioia vera e duratura. La Beata Michel fece proprie con entusiasmo queste parole: “Con l’amore avrò tutte le virtù di cui ho bisogno e di cui sono priva. Con l’amore avrò la forza di fare tutti i sacrifici perché l’amore si esplica solo col sacrificio di sé; bisogna che esca da me stessa per perdermi nell’amore. Lì troverò luce, calore, pazienza, pace, felicità. Oh! amore, amore, amore! Quando mi accenderai tutta, quando verrai in me, t’impossederai di tutta me stessa, e mi trasformerai in te?”.

Noi siamo di vedute corte, viviamo l’oggi senza la capacità di guardare al futuro, e, questo è più grave, senza vedere e sperimentare non quella gioia effimera che si impossessa ormai di molti, ma la gioia che “nessuno ci potrà togliere” (Cfr. Gv 1, 22).

Vita di sacrificio, sì! Però secondo l’aforisma del poeta Tagore: “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia”.

Sua Ecc. Mons. Fernando Charrier

Vescovo emerito di Alessandria

 

 

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