IL “PROFUMO” DI DONNA TERESA
Un amore che si irradia alle singole persone e nel tessuto sociale
Guardando qualche fotografia impietosa fattale in età già avanzata, o qualche infelice ritratto, il suo volto, più che dolcezza e femminilità, sembrerebbe trasmettere una virile quadratura. Ma a me piace ricordarla anche per il suo fascino tutto femminile, avvincente nella sua gentilezza, dolce nella sua signorilità che la distingueva non solo per censo, ma anche per tratto personale, come realisticamente mostrano le poche fotografie giovanili anche per la sua prestanza fisica, come la foto dei suoi 17 anni. Insomma la sua bellezza di donna, quella di quando era vivace e brillante dama, ricercata nei salotti della vecchia e nuova aristocrazia[1]. Ma anche quella di quando si è fatta sorella e “madre di tanta povera gente”. La Michel nella sua accezione femminile dunque, che le rimase anche sotto il velo di religiosa e con le povere scarpe consumate e più volte riparate. Chissà qual era la fragranza del suo profumo? Quello che si metteva nelle feste di gala, ma anche quello che emanava con le sue opere, perché lei, in fondo, non ha mai smesso la sua femminilità, il suo essere donna completa, in tutto.
È quella la Donna Teresa che vorrei incontrassimo in queste righe, attraverso delle pennellate tratte da un suo ritratto ancora incompiuto, con un’angolatura tutta al femminile, per ritrovarla più inserita che mai nella storia, grazie anche a studi recenti come quello di Lorenza Lorenzini, apparso lo scorso anno in un Quaderno di storia contemporanea, che va apprezzato in particolare per certe sottolineature ed approfondimenti[2].
Una femminilità ricca di carisma che ha saputo incidere profondamente nel sociale, tanto che ancora oggi ne troviamo il segno.
Una donna, la vedova del capitano Michel, ben presente nella storia alessandrina, e oltre, ovviamente. Sarebbe già sufficiente quello che S. Giovanni Crisostomo amava dire: “L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia” per fare opportune considerazioni, fino ad arrivare a ciò che Benedetto XVI non ha paura di affermare – e ben a ragione l’Osservatore Romano lo pubblicava in prima pagina, a caratteri cubitali-: “Tutta la storia della Chiesa è storia di santità”[3] . Non fa stupire, dunque che nelle pagine della storia alessandrina troviamo in un posto importante, non sappiamo ancora poi quanto riconosciuto proprio per la nostra Beata Teresa da Spinetta Marengo.
La Lorenzini apprezzando le ricerche storiche di Renato Lanzavecchia e di Marco Impagliazzo, nonché la biografia basata sulla profonda amicizia personale di Carlo Torriani, definisce la Michel: “… la donna in assoluto più famosa dell’Ottocento alessandrino”, lamentando però il fatto che essa rimanga ancora “… poco conosciuta, stretta nel ritratto convenzionale che accomuna la galleria di donne illustri, presentate come esempi edificanti di virtù civili, di doti morali e proiettate in una dimensione idealizzata fuori dal tempo”[4].
Dopo aver fotografato vividamente- senza fronzoli- le iniziative delle Signore di carità, la situazione personale e familiare della giovane vedova del capitano dei bersaglieri Giovanni Battista Michel, la Lorenzini osserva con l’acume della storia: “Se, inizialmente, dopo il trauma per la perdita del marito, acuito dalla sofferenza per non aver avuto figli, Teresa Michel concretizzò il desiderio di fare del bene, di sentirsi utile, nelle forme classiche del soccorso a domicilio, nella distribuzione di aiuti economici, il suo progetto successivamente crebbe e la portò ad immergersi nella miseria sociale, non solo e non tanto per cancellare la povertà e la sofferenza, ma per condividerle in prima persona, modificando totalmente la propria esistenza”[5].
C’è tutto l’anticonformismo ed il dovere di andare controcorrente di sapore evangelico, certo, ma l’analisi della storia, ne constata la divergenza dal suo ambiente familiare e dallo stile borghese, fino a diventare, quella di Teresa, una vera e propria scelta, “…che doveva apparire eversiva nella sua radicalità evangelica, andava oltre il bisogno di fare del bene, così diffuso tra i membri delle classi agiate, era anche la soluzione di una crisi esistenziale, culminata con la malattia, che spingeva una donna ad uscire dalla riservatezza domestica e ad assumere una inusuale visibilità pubblica”[6].
La visibilità già accennata, che pone queste belle figure di sante donne, anch’esse al “timone della storia”, magari di quella spicciola e ordinaria. Potrebbe apparire una cronaca minor, quella che farà trainare a Donna Teresa, per tutta la città e oltre, il famoso carro guidato dall’asino curato da Alfredo. In realtà non è una cronaca minore. Sì, la Michel ha guidato la storia, quella della sua città e della sua gente, non stando al timone di una barca, ma tenendo in mano le briglie di un asinello. Sappiamo che cominciò in concreto ad aiutare alcuni ragazzi, fino a spalancare poi le porte del suo palazzo a vagabondi, malati, orfani ,donne sole, prive di mezzi e di sostentamento.
Doveva essere uno spettacolo non da poco vederla muoversi, tutte le mattine, quando andavano in Duomo per la Messa, con lei, la Madre, le sue Suore, le volontarie laiche e tutti gli ospiti del Piccolo Ricovero. Era “… una presenza che attirava la solidarietà, l’ammirazione, ma anche i commenti che disapprovavano i suoi metodi”[7], senza contare, come ben nota la Lorenzini, quella difficoltà culturale a capire ed accettare la novità costituita da una donna che, nelle vesti umili di terziaria francescana, infrangeva alcuni tabù che riguardavano il ruolo femminile.
C’erano inoltre i rimproveri di “…essere troppo indipendente, laica, individualista, ancora condizionata da una mentalità da dama di carità borghese che vuole prendere decisioni in modo personalistico sfruttando la rete delle proprie conoscenze e amicizie per trovare sostegni economici,– a cui lei con determinata femminile convinzione- ribatteva con piglio imprenditoriale”[8].
Altre cose interessanti sottolinea nel suo studio la Lorenzini e vi invito a leggerne l’articolo. Le semplici righe di questo scritto, invece, vorrei concluderle pensando di nuovo al profumo di donna Teresa, molto simile a quello della donna del vangelo che ne unse i piedi di Gesù, diffondendone la fragranza per tutta la casa in cui il Signore era ospitato. La carità, la Michel ha saputo profumarla con la fragranza della novità e con quel pizzico di profezia che permette di superare il muro dello scandalo che era andata creandosi, neppure troppo inconsapevolmente, lei stessa. Non trovo parole più belle di quelle che scrive don Alessandro Pronzato, amico e spumeggiante biografo della nostra Beata: “Con una fede senza profezia – intesa quale capacità di vedere lontano – si possono anche dire cose giuste, sensate, fare conti esatti, ma non si capisce…; “…per Gesù non valgono le concessioni parziali, misurate…Trattandosi di Lui soltanto l’eccesso può rappresentare la giusta misura” [9] .
Fare come ha fatto lei: questo vuol dire seguire i suoi passi, camminare alla sua andatura. Arrivare a vedere ciò che gli altri non vedono, o non vogliono vedere e spandere un profumo che solo i santi riescono ad emettere, quello che S. Paolo chiama il bonus odor Christi [10], il buon profumo di Cristo. La fragranza di Donna Teresa, di una femminilità ricca di fantasia, che ha scavato la storia, come l’essenza profumata del Vangelo, deve spandersi in tutta la casa, in tutte le nostre case, soprattutto in quelle delle sue Figlie.
Mgr. Claudio Iovine
[1] M.T.Grillo Michel, Amate, amate, amate… Editions du signe, num.unico, foto pag. 5,6,7,8
[2] Cfr. Quaderno di Storia contemporanea, 39, 2006, Edizioni Falsopiano, a cura dell’Istituto pere la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, pagg. 9-30
[3] L’Osservatore Romano, 30-31 gennaio 2006
[4] ut supra nota 2, pag. 10 dell’articolo citato
[5] ibidem ut supra, pag.14
[6] ibidem ut supra, pag.15
[7] ibidem ut supra pag.20
[8] ibidem ut supra, pag.22
[9] A. Pronzato, Le donne che hanno incontrato Gesù, Gribaudi, 2002, pag. 139,140
[10] 2 Cor. 2, 15