Servire è regnare

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La Beata Teresa Grillo Michel

 

“Dov’è la fede è l’amore

Dov’e l’amore è la pace

Dov’ è la pace è benedizione

Dov’ è benedizione è Dio

dov’è Dio non v’è miseria”

 

(Iscrizione sulla porta del Piccolo Ricovero di Alessandria)

 

Nella Lettera Enciclica “Deus caritas est” Papa Benedetto XVI ha una felice espressione per delineare le persone premurose verso chi non ha o non può, cioè i “piccoli di questo mondo”: coloro che “vedono e guardano con il cuore”. Questa espressione ben si adegua alla Beata Teresa Grillo Michel, ispirò infatti i suoi comportamenti e tutta la sua vita dedicata a Cristo Signore il quale “passò beneficando e risanando” tutti coloro che erano in necessità.

Più delle parole convincono i gesti di Madre Teresa; essa non racconta sovente la sua vita e quando ne parla lo fa a malincuore; per fortuna coloro che l’hanno aiutata nei primi anni del suo pellegrinare raccontano con semplicità ed entusiasmo al tempo stesso tutto quanto lei compiva. Il piccolo Alfredo, ad esempio, un ragazzo di circa 10 anni, racconta: ”Con l’asinello che era alla mia custodia si girava con la Madre paese per paese a chiedere l’elemosina per sfamare i suoi poveri. Si andava sui mercati, alla porta dei negozi e delle abitazioni per raccogliere gli oboli in denaro o in derrate. Nei primi tempi la aiutavano, e poi voci maligne dicevano perfino che era una pazza; così umiliata li ringraziava egualmente, e con le preghiere a Sant’Antonio tirava avanti”. Più commovente è il racconto di una sua amica: “Il vederla sullo stradale Cantalupo-Borgoratto con le scarpe rotte, tutta impolverata, mentre tante volte l’avevano vista passare a tiro di pariglia, ci faceva piangere. Le davamo qualche piccola offerta, pensando che l’Opera poteva fallire da un momento all’altro. Ella ci ringraziava con un ‘Deo gratias’! E col suo sorriso…”.

Filantropia? Compassione? Buon cuore? O amore sconfinato per i poveri frutto di una fede e di una spiritualità che ha come centro “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”?

Stare con i piccoli e gli ultimi, mettersi al loro livello per offrire un servizio che non cade dall’alto né deriva da una deplorazione per la loro condizione, ma serve a portare un sollievo non transitorio e limitato, è frutto di una scelta di mente e di cuore che va al di là delle capacità umane e che manifesta una sincera umiltà. Scrive il Manzoni a proposito della umiltà di una persona verso i più poveri: “Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi…; e prima di ritirarsi a pranzare altrove… volle star lì un poco per far compagnia agli invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l’ho dato per un brav’uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v’ho detto ch’era umile, non già che fosse un portento d’umiltà. N’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari” (I Promessi Sposi, cap. XXXVIII).

Madre Teresa considerò i poveri e gli emarginati una ricchezza che sposò lo stesso Gesù, il quale venendo su questa terra “annientò se stesso prendendo la condizione di schiavo, diventando simile agli uomini. Riconosciuto nell’aspetto come uomo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, morte di croce”; e, dedicandosi a coloro che sono disprezzati perché diseredati o incapaci, accolse con gioia il suggerimento di Gesù al giovane che lo interrogava: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e poi vieni! Seguimi!” .

La saggezza la addusse a rivolgersi a quegli uomini e a quelle donne che ai tempi suoi erano la personificazione della carità-giustizia quali il Cottolengo e gli altri santi “sociali” dell’800 piemontese; tuttavia la sua azione rimase del tutto originale, con il suo andare come una questuante e a partire dalla sorpresa di constatare che una donna (siamo a fine ‘800) si possa dedicare con tutte le sue forze e la sua intelligenza all’attività sociale, facendo fronte il più delle volte a giudizi ostili se non proprio di condanna.

Mons. Torriani attesta “che vi era in lei una forza nuova e una salute a tutta prova tanto da sopportare senza ammalarsi privazioni, disagi, fatiche di ogni genere”. Una tale cadenza di vita le proveniva da una forza interiore e da una spiritualità che la poneva controcorrente rispetto agli atteggiamenti e alla cultura stessa di quei tempi, specialmente di coloro che l’avevano conosciuta donna brillante della borghesia. Per di più la Madre non lasciava mai fuori della porta nessuno, specialmente quando entrava nella cappella o si inginocchiava all’altare della Madonna della Salve nella cattedrale di Alessandria: le preoccupazioni, le difficoltà, i dolori, le umiliazioni e le privazioni dei suoi poveri, anzi di tutti i poveri, le erano più che presenti nelle richieste a quel Padre che come dice Giobbe “non preferisce al povero il ricco”.

È forse fantasticare, ma credo che anche il cigolare delle ruote del suo carretto o il raglio dell’asinello accompagnavano quella intima preghiera che aveva come centro il suo Dio e i suoi poveri.

Dice un proverbio che “chi non ha patito la fame non sa cosa essa sia”; ecco perché Madre Michel prima di pensare ai poveri volle essere povera lei stessa, rinunciando a tutto ciò che le aveva offerto una vita agiata. Rimase senza nulla, come possono attestare quelli che un tempo erano i suoi domestici. Una di essi che aveva seguito Teresa nella nuova vita, ma non resistette, commentava: “Bisogna essere dei santi per star lì dentro con tutta quella gente da pulire e da mantenere, con tutte quelle preghiere, quel lavoro, quella penitenza…”.

Conoscere e parlare dei poveri è un primo passo, ma se non si condivide la loro vita è difficile parlar loro della novità evangelica “che ha come fine il Regno di Dio, come condizione la libertà dei suoi figli, come statuto il precetto dell’amore” (cf. Lumen gentium, n. 9).

In un certo senso, pur alla luce del Vangelo di Cristo, furono anche i poveri ad educarla e a farle comprendere che essere a loro servizio era regnare. “Fu chiamata Madre dei poveri – commenta ancora una testimone – la sua carità e abnegazione veramente straordinarie non incontrarono barriere e non mandò mai via nessuno senza un aiuto”.

Da dove tanta forza e tanto coraggio? Da dove la sicurezza di essere sulla strada giusta nel servizio al suo Signore? Da dove quella capacità di coinvolgere altre persone in questo servizio?

Non vi può essere dubbio: il suo dialogo con Dio, Padre e sostegno dei poveri e degli emarginati; la sua fedeltà a Cristo Signore, rimasto nell’Eucaristia per amore di tutti i miseri, dando l’esempio di una intimità singolare, tanto da farsi “mangiare”: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo…… Prendete e bevete questo è il mio Sangue… Chi mangia la mia carne e deve il mio sangue ha la vita in sé”. I lunghi tempi passati dinanzi a Cristo Eucaristia, le preghiere frequenti e le lunghe meditazioni sono state la motivazione a non allontanarsi mai da “Sorella Povertà” e da Colui che ha detto: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”; e che fa dire dal padrone di casa al servo nella parabola del convito: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi… e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia”.

Si potrebbe, a questo punto, proseguire la riflessione sulla povertà per il Regno dei cieli attuata da Madre Michel, ma mi parrebbe di calpestare questo terreno più che non coltivarlo, perché il cuore di chi legge possa aprirsi con generosità agli emarginati della nostra società. Tenendo presente che sulla cultura moderna incide maggiormente la testimonianza piuttosto che molte parole, mi pare stimolante mettersi nei solchi tracciati dai Santi testimoni della carità dell’800 piemontese, per intuire quali ulteriori passi debbono essere fatti per convincere il mondo attuale che né la ricchezza, né il potere, né la superbia, né l’oppressione, sono strumenti atti a favorire la costruzione di una “società dell’amore” e ricordare al mondo intero la volontà del Creatore, che considera tutti gli uomini, e in modo particolare gli ultimi, suoi figli ed eredi dei beni della terra e del cielo.

Ci stanno travolgendo con statistiche e studi sui poveri, sulle famiglie e sui popoli in difficoltà; tutti ne parlano, ma quando si chiede un po’ di solidarietà e una doverosa equità tutti si chiudono nel proprio io, rivendicando i “privilegi” acquisiti. I poveri sono lontani nel pensiero e nella preoccupazione della maggior parte degli uomini di oggi, anzi, si ritiene che disturbino le finanze e le economie sviluppate, e perciò non entrano nei capitoli di spesa o nelle finanziarie nazionali e internazionali, se non per qualche piccola briciola concessa come carità spicciola e non per giustizia. Mai come oggi è reale la parabola del Ricco Epulone e del povero Lazzaro.

Dimenticando o mettendo da parte Dio, che è Padre buono verso tutti, quel Dio lodato da Maria nel suo cantico perché “ha  ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”, ci si auto-condanna: “Via, lontano da me, maledetti, dirà Cristo nel giudizio finale, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato…”.

Madre Teresa Michel è andata controcorrente, lasciando i cittadini del suo tempo nel loro biasimo e nella loro derisione; aveva imparato dal suo Signore che gli ultimi di questo mondo sono i primi per il loro Padre celeste; ella seguì la beatitudine e la felicità di coloro che si pongono a servizio e non si fanno servire, e trovò la felicità, come afferma il poeta e scrittore indiano Tagore:

“Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia;

mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio.

Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia”.

 

+  Fernando Charrier

 

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