Una meravigliosa Vocazione Apostolica

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Teresa Grillo Michel, abbandonate le sue ricchezze, girava in città e nei paesi intenta ad aiutare il prossimo, con un asinello. Scultura in bronzo di Denise De Rocco.

Una meravigliosa Vocazione Apostolica

Occorre avere un cuore puro per vedere Gesù nelle persone materialmente o spiritualmente più povere. Più sarà sfigurata l’icona di Dio in quelle creature, più grandi saranno la nostra fede e la nostra devozione nel cercare il volto di Cristo e nel servirlo con amore.

La beata Teresa Michel ha lasciato alle sue numerose figliole questo carisma e questo messaggio: la nostra vita è (deve essere) tutto un itinerario al Cielo. Per questo il suo cuore non s’era radicato più di tanto nelle cose terrene, neppure nelle preoccupazioni di ordine materiale. A questo avrebbe pensato la Divina Provvidenza. A noi non resta che rimetterci docilmente e totalmente alla volontà di Dio e non smarrire mai la fede in Lui.

Ella «sentì spontaneo in cuore il bisogno di riferirsi in ogni caso alla Divina Provvidenza, per indicare la felice conclusione di un progetto, l’aiuto giunto in un momento di necessità economica, il permesso avuto dai superiori per la realizzazione di una santa impresa, il compimento di qualche desiderio vivamente sentito.

Non per nulla alla sua Istituzione, alle religiose che ne fanno parte assegnò il glorioso titolo della Divina Provvidenza, indicativo insieme di una speranza superiore, soprannaturale, e di una certezza inconcussa nell’assistenza del Signore per la missione affidatale. Amava definirsi “piccolo strumento nelle mani della Divina Provvidenza”».

Tutto sommato, alla base del suo “senso della vita” c’è un’estrema semplicità, ma appunto per questo, mirabile e sconcertante. La nostra mentalità, che si è costruita su sistemi di sapere e si è arredata con elementi, suppellettili e beni strumentali estremamente complessi, raffinati e complicati, stenta ad identificarsi in una simile, scarna essenzialità di punti di riferimento.

Tanto che – probabilmente – non è infondata e nemmeno retorica la domanda: ma è attuale una simile vocazione apostolica?

Come recitano le “Costituzioni” (n.15), «per corrispondere alla vocazione, essenzialmente apostolica, bisogna:

– coltivare l’unione intima e profonda con il Signore;

– condurre una vita semplice e caritatevole, fondata sulla fiducia in Dio e sull’unione fraterna;

– usare un linguaggio che il mondo possa intendere;

– vivere radicalmente il carisma».

– Ecco, quello che colpisce è il richiamo, diciamo pure l’obbligo di prestare la massima attenzione al cammino della Chiesa, al suo saper prevenire, leggere “prima” le istanze della macrosocietà per potervisi plasmare, per individuare meglio, cioè con intelligente carità, le risposte di merito oltre che di metodo. Questo passo delle Costituzioni dà la misura della preveggenza illuminata della Fondatrice, il suo sapersi calare nel vivo del tessuto sociale per interpretare nel modo più giusto il messaggio di Dio ed il Suo progetto da realizzare tramite la sua umile serva. Che, poi, a ben vedere, è un ritorno alla ecclesialità delle origini, è un seguire l’invito di Paolo e dei Santi Padri ad andare incontro ai vari poveri, a tendere loro una mano, a formare con essi “ecclesia” ove mettere in comune (koinonia) tutte le disponibilità per realizzare il banchetto agapico cui l’Apostolo dedica il suo celebre “Inno”, nella sua Prima Lettera ai Corinti (1Cor 13, 1- 13; 14, 1).

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