Amare è “volere il bene” dell’altro, fino al sommo bene che è Dio stesso. È trasmettere all’altro l’amore con cui Dio ci ama; se così non fosse, meriteremmo di essere chiamati “omicidi” (Cfr. 1Gv 3,15), perché non diamo la vita che Dio vuole che diamo. L’amore dovrà avere le stessa caratteristiche dell’amore di Dio, che segnano il suo dialogo di salvezza: prendere l’iniziativa, comunicare sé stesso, senza imposizioni, ma rispettando la libertà della risposta altrui, amare tutti senza distinzioni discriminanti, dosare la comunicazione secondo la capacità ricettiva dei destinatari, rispettare la gradualità inerente ad ogni processo di dialogo.
Amare è anche partire da quello che l’altro è, dai suoi valori e capacità, per favorirne lo sviluppo e superare i limiti che i questi valori e capacità portano con sé. L’amore, nella fede, intuisce, penetra, scopre in modo sapienziale i segni di Dio presenti in ogni altro e, nella speranza, quasi per istinto mette in luce questi segni, e ne serve la crescita con tutte le sue energie. L’amore edifica, costruisce, libera e sfida l’altro nella sua capacità di crescere. Lo fa con la fermezza e la tenerezza, la misericordia e la benignità dell’amore di Dio, vissuto e manifesto nell’amore umano, sebbene in forma limitata. “Iddio nessuno lo ha mai visto; se ci amiamo a vicenda, Dio sta in noi, e il suo amore è in noi perfetto” (1Gv 4,12).
L’amore promuove così gli altri, persone, gruppi, comunità e la stessa umanità, partendo da ciò che essi sono o possono diventare (Cfr. Ef 4,15-16).L’amore sa che la persona vale per ciò che è ed è chiamata ad essere e, quindi, crea un dinamismo di crescita, il più universale possibile, e inonda e impregna tutti i rapporti interpersonali e sociali con quell’“amore fontale” che è comunione e comunità d’amore. L’amore così è efficace. Si compie la parola di Cristo: “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).