I benefattori Borsalino

LA PROVVIDENZA DELLA FAMIGLIA BORSALINO

In memoria di mio padre faremo la “Divina”

Nel novembre 1922 era stata organizzata da un Comitato “Pro Piccolo Ricovero” di Alessandria una lotteria, alla quale i cittadini concorsero con la solita generosità. Alla festa furono invitati autorità e offerenti. Venne, tra gli altri, il vescovo mons. Milone; mancò il senatore Teresio Borsalino, il grande industriale. Il giorno dopo, questi ebbe occasione di chiedere a una signora com’era andata la cerimonia e che ne pensasse dell’Opera di Madre Michel. Quella rispose schiettamente che molte persone avevano notato che il senatore Borsalino “brillava” per la sua assenza. – Non mi piace farmi mettere sui giornali. – Ma le offerte per l’Opera si potevano fare segretamente. V’era, tra l’altro, un “ barilotto ” che riceveva anche biglietti di banca anonimi. – Non capisco perché di tante opere di beneficenza che vi sono in città non se ne faccia una unica e grande, – obiettò ancora il “signor Teresio” seguendo i suoi giusti criteri industriali. – Si vede, senatore, che lei non conosce l’opera della Madre Michel che si regge unicamente sulla fiducia nella Divina Provvidenza e non può esser confusa con altre, pure bellissime, ma che vivono su calcoli umani. –
– Mi piacerebbe discutere di queste cose. C’è un uomo con cui parlare in quel Piccolo Ricovero? –
– No, sono tutte donne, tutte povere donne. –
– E allora come si fa ad andare d’accordo con “mentalità” di donne? –
– Vada, senatore, al Piccolo Ricovero, e parli alla signora Madre: constaterà i sacrifici suoi e delle sue suore, ben degne di esser aiutate. –
– Si può andare in qualunque momento? –
– La porta è sempre aperta. –
Il senatore restò colpito da quelle osservazioni. Assorto completamente nel lavoro del suo cappellificio di fama mondiale, non aveva mai avuto occasione di interessarsi di un’Opera tanto diversa dalla sua, ma pur motivo di tanto onore per la città ch’egli dimostrò sempre di amare. Fino a quel giorno si era limitato a dare qualche moneta alle suore questuanti e per quella lotteria aveva offerto duecento lire. Non frappose tempo; telefonò al suo amico e confidente mons. dott. Giuseppe Ragni, parroco di S. Alessandro se era disposto ad accompagnarlo a visitare il Piccolo Ricovero. Il prelato, che non aspettava altro, prese subito appuntamento. E fu così che il 30 novembre 1922 il grande benefattore con il suo amico comparivano inattesi nel parlatorio dell’Istituto. La Madre li guidò in tutti i reparti, su per le scalette buie anche nel cosiddetto “ cortile Mondino ” su cui si affacciavano le stanze più squallide e pericolanti ed ove erano ospitate le persone più squilibrate e infelici della casa. Il senatore fu sopraffatto da riverenza e da commozione. Com’era nel suo stile, s’informò minutamente dell’andamento economico dell’Opera. – Dove ricavate i redditi per affrontare tante spese? –
– È la Divina Provvidenza che li dà, – rispose la Madre. –
– Capisco, vivete di elemosina: ma una base, un capitale bisogna pur averlo… –
– È la Divina Provvidenza, – ripeteva sorridendo la Fondatrice. Per quanto non troppo persuaso da quel modo di fare i conti – lui ch’era così preciso e matematico nei suoi affari – il grande industriale capì che in quell’Opera non si viveva che di fiducia nella Divina Provvidenza e da quel momento alla “Divina” (come poi sempre la chiamò) diede fiducia anche lui. La Signora Madre non mancò di ricordargli il primo dono che suo padre Giuseppe Borsalino aveva fatto all’Istituto trent’anni innanzi: quel tale  asinello che, affidato ai ragazzi, riceveva quotidianamente o troppo pane o troppe busse. Il senatore concluse congedandosi: – Appunto in memoria di mio padre, se ella lo permette, faremo una “Divina” più grande e più comoda. –
– Deo gratias! – esclamò la Madre ossequiando gli ospiti.

Il sogno di un grande edificio per la Piccola Opera

Poco dopo ai piedi dell’altare ricordava un sogno che aveva fatto molti anni prima e che aveva allora rivelato alle sue cugine sig.re Moro: un grande edificio per la piccola Opera, fuori città, con una chiesina di stile particolare, dedicata al Sacro Cuore… L’amore filiale di Teresio Borsalino volle legata anche questa opera di beneficenza al nome di suo padre. Ricorderemo dunque che Giuseppe Borsalino (1834-1900) partì a dodici anni dal paese natale, Pecetto, sulla collina valenzana, con gli zoccoli ai piedi, con un fagottino sotto il braccio e trenta soldi in tasca e venne in Alessandria a fare il cappellaio. Aveva proprio una vocazione radicata perché a diciassette anni emigrò in Francia e di stabilimento in stabilimento perfezionò la sua arte. Quando questa non ebbe più segreti per lui, tornò in Alessandria e a ventitré anni divenne padrone di una botteguccia in via Vescovado presso la chiesa di S. Lucia. La grande industria che conquisterà i mercati del mondo è nata in quel piccolo nido. Operaio, artista singolare, fu anche organizzatore eccezionale: viaggiò per l’Europa e mandò rappresentanti in America e in Australia. Quando, stanco, non poté più affrontare lunghi viaggi, passò la parola d’ordine al figlio, ventenne: – Vai dove vuoi, ma vendi, vendi, vendi. – E Teresio Borsalino (1867-1939), istruito con austerità nell’arte del padre, ne ereditò l’alto valore tecnico e il cuore e vide l’azienda in rapido sviluppo su un’area di 60 mila metri quadrati, con rappresentanze in tutti i continenti. Vi furono anni in cui in Giappone come in Turchia, in Abissinia come in Siberia, “Borsalino” fu sinonimo di cappello. Deliberato il gran dono, il senatore curò la ricerca del terreno e la costruzione dell’edificio, come si trattasse della sua fabbrica; nel luglio 1923 la Madre Michel fu invitata in municipio a firmare l’atto di “acquisto” del vasto terreno scelto nel rione Orti, verso le colline, comodo anche per il servizio dei tram dalla stazione e dal centro. Nell’anno stesso il grande benefattore metteva mano all’opera affidandone il disegno agli architetti comm. Luigi Martini e comm. Arnaldo Gardella di Milano e  l’esecuzione al perito edile sig. Giuseppe Uslenghi.

L’inaugurazione, avvenuta senza solennità, ma con cerimonie tanto più commoventi

Il 13 giugno 1927 (S. Antonio) incominciarono a prender stanza alcune ricoverate. Il 15 giugno fu consacrato l’altare e benedette la cappella e la campana del piccolo campanile. La Madre e il senatore fungevano da madrina e da padrino. Presiedeva la cerimonia mons. Vescovo, che pronunciò fervide parole di occasione. Al senatore venne offerta un’artistica pergamena che porta il seguente ringraziamento: “Al senatore Borsalino – che pietà per l’infanzia derelitta e la vecchiaia dolente – mosse a erigere grandioso ospizio – ove genio industre e intelletto d’amore – rifulgono in opera d’arte ispirata a cristiana carità – il Piccolo Ricovero della Divina Provvidenza – commosso e riconoscente pel munifico dono – monumento di gloria non caduca – sicuro titolo a benedizione celesti – umilmente offre”. Per l’onomastico della Fondatrice e suo (15 ottobre), il senatore donava poi alla Madre le chiavi dell’Istituto che restava così aperto senz’altra formalità. Le due chiavi d’argento in elegante astuccio erano accompagnate da questo nobile autografo col quale si investiva la Madre della proprietà del costoso edificio: “Mi permetto inviarle le chiavi della nuova casa della Divina Provvidenza. Chiaro e significativo vuol essere il simbolo delle chiavi. Dò a V. S. R. consegna formale del nuovo edificio. Ella in nome del Signore prenda possesso del piccolo regno della carità che io sono ben felice d’aver edificato per ispirazione di Lei rev. Madre, e del buon Dio. Sono due le chiavi: una è della porta maggiore del pio Ospizio con la medaglia della Madonna della Provvidenza, l’altra è la chiave del Tabernacolo con la medaglia di Gesù Eucaristico. Ella, con la sua preghiera e virtù darà a noi e ai poveri altre chiavi d’oro”. Non conosciamo la risposta della Madre. I suoi sentimenti possono arguirsi da questa lettera di qualche mese dopo alle suore d’America. “… Nel nuovo Ospizio vi sono tante miserie spirituali e corporali da confortare e sollevare e purtroppo ci si sente incapaci di un’opera così santa e sublime senza un aiuto specialissimo del Signore. “ Le spese sono enormi e la Divina Provvidenza aiuta… ma bisogna chiudere gli occhi e confidare tanto in Lei per non rimanere spaventate. Per fortuna il Signore non ci lascia senza croci e anche nello splendido edificio le suore le sentono più o meno pesanti a seconda delle responsabilità. Io poi mi trovo sempre più impotente a reggere sì enorme peso… Ho bisogno di pregare, e sovente stento a dire le preghiere di regola… Bisogna accontentarci di pregare camminando, parlando e facendo tutto per Gesù solo…”. Il senatore andava sovente alla “Divina ”, si intratteneva con le ricoverate e mandava anche industriali e loro rappresentanti italiani ed esteri perché ammirassero quanto egli aveva fatto in memoria del padre. E di sorprese ne ebbe anche lui. La prima fu quella di vedersi rifiutare la somma di alcuni milioni ch’egli destinava come reddito dell’opera. La sua mentalità industriale giustamente si preoccupava della gestione del grande edificio. Sarebbe stato inutile edificare tutti quei padiglioni se non si fosse garantito almeno in parte il vitto ai ricoverati. – Non è nello spirito dell’Opera, – spiegava la Madre, – tener capitali di denaro a frutto. –
– E se domani vi mancano i mezzi? –
– La Divina Provvidenza non mancherà. – L’uomo che era tanto preciso nei bilanci preventivi e consuntivi non riusciva a raccapezzarsi dinanzi a una azienda così diversa dalla sua. E ne parlava a mons. Ragni e ad altri: interrogò perfino alcuni prelati in Vaticano.

La seconda sorpresa fu quella di non trovare mai la Madre disposta a trasferirsi al grande Ospizio

– La “Divina” è stata edificata anche per lei, – le diceva, – perché possa togliersi da questi ambienti così scomodi e poco igienici del Piccolo Ricovero. –
– Senatore, – replicava la Madre, – pel poco tempo che ho ancora da vivere, mi lasci stare nel mio vecchio nido… – Con il senatore poteva differire a lungo il trasloco, ma con l’autorità municipale la cosa diventava più difficile. Era quello il tempo in cui la “giovinezza” abbatteva con tutta facilità quanto i vecchi avevano fatto, per edificare il “ novecento”. Anche in Alessandria era diventata di moda questa mania e il podestà, con lettera del 24 ottobre 1927 (anno V) osava invitare la Madre a lasciar libero il vecchio Ricovero! Ecco come la burocrazia senza sentimento veniva in un attimo a guastare tutta la beneficenza del Senatore e a… ringraziare la fondatrice dei sacrifici fatti fino a quel momento! La Madre ne fu colpita profondamente; sensibile alle minime cortesie, non poteva essere sensibile anche a queste larvate imposizioni. Resistette facendo presenti due ragioni che rendevano inopportuna e impossibile la cosa: l’Ospizio non poteva ospitare gli uffici della casa Madre diventata un’opera internazionale, né il noviziato. Il podestà rispose ancora sollecitando, chiamò la Madre inmunicipio e aprì una vertenza veramente incresciosa, che terminò con la promessa da parte della Fondatrice di un risanamento dei locali ma senza la promessa da parte del Municipio di concorrervi nella spesa. A mantenere la parola della signora Madre concorse ancora il Senatore Borsalino. Visto che essa rifiutava il capitale per la gestione e voleva risiedere nella vecchia sede in via Faà di Bruno, il senatore impiegò il denaro preventivato nell’edificare il nuovo palazzo della Casa Madre sul sedime del Piccolo Ricovero abbattuto. Raddoppiò così la fiducia nella Divina Provvidenza perché lasciò non uno ma due palazzi da gestire senza reddito. Non si sa precisamente come la Madre abbia acconsentito all’abbattimento. Dopo alcuni colloqui col Senatore, partendo per l’America il 15 novembre 1928 disse alle consigliere: “Se ve lo chiedono, cedete; io mi allontano”. Le suore restarono perplesse, ma non tardarono a comprendere la situazione quando la sera della partenza della Madre, periti e ingegneri che si dissero mandati dal Municipio, vennero a visitare il Piccolo Ricovero per fini igienici, e, naturalmente, conclusero ch’era un orrore, che, bisognava abbattere, bisognava risanare. Le suore ne furono allarmate e telefonarono al Senatore. Questi intervenne subito e, sbrigativo e pratico com’era, dichiarò che se le consigliere a nome della Madre e della Congregazione si fossero assunte per iscritto l’impegno di adibire la nuova casa a uso esclusivo della Comunità religiosa e del noviziato, avrebbe provveduto egli stesso a riedificarla dalle fondamenta. L’impegno fu preso e notificato immediatamente alla Madre; il Senatore stesso le mandò poi disegno e la pianta della nuova costruzione. Il 15 gennaio 1929 si incominciava la demolizione del vecchio Piccolo Ricovero.

Un altro importante problema aveva dovuto risolvere il senatore col suo gesto generoso

 

A chi fare la donazione se in quegli anni, non essendovi concordato tra la S. Sede e il Governo, la Congregazione non era giuridicamente riconosciuta dalla legge? Venne consigliato alle suore di organizzarsi in Società Anonima. E così si fece. La Fondatrice rideva di gusto quando, come presidente della S. A. Divina Provvidenza, doveva firmare tanta carta bollata. Non vi fu mai una società più “anonima” di quella per le azioniste, che non sapevano neppure dove fossero le azioni. Per la legge e per il fisco l’anonima invece figurava tra le grandi industrie. Al Comitato degli agenti di cambio che col pubblico ministero dell’ispettore fiscale doveva giudicare del valore delle azioni, il caso appariva abbastanza singolare: o si riteneva che le azioni fossero veramente della Divina Provvidenza e allora il valore andava all’eterno incommensurabile, o si riteneva fossero una finzione di donne legate da voto di povertà, che non sapevano che farsene degli stabili se non avevano carità da esercitare, e allora il valore era zero. Per la storia le azioni della S. A. D. Provvidenza furono quotate ottanta lire l’una. La Società fu poi sciolta quando il Governo, per il concordato, riconobbe giuridicamente la Congregazione (Decreto 25 aprile 1940). Visse sempre con lo stesso bilancio, che non aveva né profitti né perdite. La signora Madre, nella sua bontà, rilevava però che un profitto c’era stato, non denunciabile agli agenti di cambio: il segretario (Avv. Carlo Torriani) della Società Anonima i1 21 ottobre 1934 entrava in seminario e il 22 maggio 1937, nella cappella della Salve, e presente la Madre, veniva ordinato sacerdote.

Carlo Torriani

  L’Istituto come si presenta oggi

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