Testimoni delle Beatitudini

Le Piccole Suore della Divina Provvidenza

testimoni del Vangelo delle Beatitudini

Sì, ma quali sono queste beatitudini? S. Matteo (5,3‑10) ne enumera otto, S. Luca (6,20‑22) ne conta quattro! Come la mettiamo? A chi dobbiamo attenerci?… Ma si tratta solo di contemplare l’albero che si apre in quattro grossi rami portanti, dai quali provengono otto ramoscelli fronzuti. Il problema dell’albero non sta nel numero dei rami, ma nella sanità funzionale della radice: è di lì che parte la linfa che si diffonde in tutti i rami e ne assicura il rigoglio.
Ma qual è questa radice nascosta, che non vediamo, perché coperta e perché siamo attratti dalla grazia delle foglie? La radice è profonda, è fitta nella terra ma non appartiene alla terra; è viva mentre la terra che l’attornia è morta; sugge dalla terra ma alla terra è estranea. Il messaggio di Gesù, attra­verso ai vari commi nei quali si articola, è unitario; si concentra in un am­monimento: siamo nel mondo ma non siamo del mondo; il mondo ci è base ma non ci è fine; ci è punto di partenza ma per un traguardo collocato altrove. La grande tentazione umana è di fare, delle cose che ci sono state fornite come strumenti, dei fini; chiamati a servircene, ce ne asserviamo; invitati a superarle ce ne imprigioniamo.

Le Beatitudini sono una prevenzione contro le distorsioni indotte dalle pas­sioni: non sono un trattato organico (ad impostazione filosofica) sono un appel­lo alle coscienze (ad intonazione catechistica). Le nostre passioni sono forze istintive, non necessariamente volte al male e contro la ragione, ma poste fuori di essa; sono impulsi, in genere violenti e per loro natura ciechi; non vanno soffocate, ma vanno dirette con una mano risoluta guidata da una mente illumina­ta. Le Beatitudini sono un codice esemplificativo che chiama alla fuga dal pec­cato, il quale consiste nell’umiliare i valori più alti (il bene, la virtù) sot­tomettendoli alle irrazionali cupidigie umane, che travolgono nel vizio. E sap­piamo che il vizio attira, ma delude ed inganna: ci fa confondere il piacere con la gioia, la grandezza con la superbia, l’eccellenza con il possesso. E’ la grande perversione ed illusione della vita. Il vizio alletta, ma non disseta; ci la­scia tutta la nostra fame di povere creature limitate che aspirano all’alto e si sentono tratte al basso, anelano al puro e si riscontrano indotte allo sporco. Il vizio‑peccato lusinga; sappiamo che poi lascia la bocca amara, ma intanto da­vanti alla tentazione siamo proclivi a cedere alla suggestione.
L’allocuzione di Gesù, nel suo tono provocatorio, suona come una sfida: è un proclama di magnanimità già come persona umana, prima ancora di essere chiamati al Regno di Dio. Come sempre, la fede avvia l’uomo alla nobiltà terrestre prima di condurlo alla felicità celeste. Tra la vita del tempo e quella dell’eternità per il cristiano non c’è scissione; il tempo è indirizzato all’ eterno e, se viviamo nell’intimità con Lui (“Verremo a lui e faremo dimora presso di lui”: Giov. 14,23), l’eterno è già iniziato nel tempo, riempiendolo di un valore in­finito.

Le Beatitudini sono un invito a distinguere le cose che passano, che si disfano sotto il volo del tempo, e quelle che “durano”, “permangono” oltre il cammino degli anni. Sono l’appello ad una coscienza che si affranchi dalla neb­bia delle passioni per arrivare ad una limpidezza di sguardo che sappia saggia­mente giudicare del valore delle cose; sono lo stimolo ad una rettitudine della condotta ed alla conseguente serenità dello spirito …
Siamo perfettamente in linea con l’insegnamento della B. M. Teresa, che il 16.6.1921 scriveva ad una Suora tribolata dalle traversie: “Che cosa sono gli onori di questo mondo, se non vento e fumo che passa e che ci lasciano solo nel cuore il vuoto, se non il rimorso? … ci vuole pazienza, carità, fortezza”. È un’eccellente sintesi delle Beatitudini: e poi il suo costante richiamo all’a­more dei poveri, mentre tanti adulano i ricchi, la fervida raccomandazione a stabilire la pace nella comunità, quando il dispetto ci spingerebbe al ripicco, l’esortazione a non scoraggiarsi davanti alle ingiustizie, perché “essere disconosciuti e perseguitati è quasi inevitabile per chi aspira sinceramente alla gloria ed al premio degli eletti nella vita futura” (31.10.1924). Ma i richiami ritornano fitti: e non manca il pianto al quale è promesso il conforto: “E tu ne hai versato già delle lacrime, e in abbondanza; dunque, devi ralle­grarti, perché senza queste non si può fecondare la terra che la Divina Prov­videnza ci ha data da lavorare” (24.11.1923). E l’asprezza del richiamo non manca di essere anche avvolta in una delicata visione di bellezza: “Per ora non senti che le punture delle spine che ti circondano e non vedi le rose che pure spuntano vicine, ma un giorno ne troverai tante e belle e odorose trapiantate in cielo, e benedirai le lacrime con le quali le hai innaffiate su quest’arida terra” (21.10.1912). È difficile trovare una più fine parafrasi del “Beati coloro che piangono, perché saranno consolati” … è invece facile trovare un eccellente commento pratico alle Beatitudini, un loro fedele inserimento nella grigia quotidianità della vita: basta leggere l’espistolario della B. Madre Teresa.

Enrico Trisoglio, FSC

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