3ª Sequenza Fioretti di M. Michel

Teresa offre dolci in cambio di polenta

L’episodio riprodotto riguardante Madre Michel, tratto dalla biografia di Pronzato, mostra i contorni di una realtà quotidiana, si direbbe, senza nulla di particolare, ma di grande ricchezza sul piano delle intenzioni e delle movenze narrative. Se ne coglie il gusto ingenuo ed evocativo di un altro testo meritatamente famoso e universale, che sono i “Fioretti di S. Francesco”.  Per questo abbiamo pensato di proporlo nello stile agile e sobrio dell’autore.

3ª Sequenza – A

Da: Una donna per sperare – Alessandro Pronzato

Tu dai la tua polenta a me e io do la mia torta a te – Aveva la mania dello scambio. Pareva non potesse godere delle cose che teneva tra le mani, se queste non venivano barattate con le cose degli altri. Questa tendenza si era già manifestata negli anni dell’infanzia. Teresa, quando soggiornava nella villa della «Cavallerota», schizzava via da tavola all’ora del dolce. No, non ci rinunciava: se lo portava dietro perché doveva costituire la base indispensabile per i soliti scambi. Si intrufolava nella casetta del giardiniere o in qualche cascina vicina. Abbordava i complici abituali, quelli che erano interessati alla sua mercanzia, e proponeva l’affare. Io do i miei dolci a te e tu dai la tua fetta di polenta a me. Quelli ci stavano subito, senza discutere. Era lei che ci rimetteva regolarmente in quelle operazioni. Ma l’interessata rimaneva convinta di essere la più furba.
Non fu possibile guarirla da quella pericolosa vocazione alla… perdita. Anzi, la bizzarra abitudine al baratto andò accentuandosi sempre più ed ebbe modo di manifestarsi in maniera «scandalosa» nell’età matura. Era stato aperto da poco il Ricovero in Alessandria. Teresa mangiava nel refettorio comune. La cameriera di famiglia, che non l’aveva ancora abbandonata, preoccupata forse per la salute della «signora», le faceva trovare talvolta, con mille ingegnosi accorgimenti, qualche cibo speciale. Lei allora si alzava di scatto e andava a versare il tutto nella zuppiera comune. «Così tutto diventa migliore», commentava con l’aria di chi tenesse il segreto di una ricetta speciale. Niente da fare. Nonostante il progresso, Teresa Michel rimarrà sempre ancorata a un’economia fondata sul baratto, al commercio a base di scambi. I dolci per gli altri, le fette di polenta per sé. Rivendicava immancabilmente il privilegio di rinunciare ai propri privilegi, in modo che gli esclusi, i non aventi diritto, godessero di qualche beneficio. Pretendeva per sé il peggio che vedeva addosso agli altri. E, in cambio, offriva del suo meglio. Un mercato che conduceva inevitabilmente alla rovina, secondo i benpensanti. Lei, invece, era convintissima, secondo lo specialissimo codice commerciale del Vangelo cui si atteneva, di guadagnarci, proprio perché ci perdeva. «Non desiderare la roba d’altri». Teresa non ha mai osservato questo comandamento. Le mani colme di fette di polenta altrui lo stanno a documentare. Non pensava fosse peccato… Lei continuava imperterrita a desiderare la roba d’altri, il niente, la miseria altrui. E, per ottenerla, pagava col «suo» un prezzo spropositato. Nella vita ci sono i soliti furbi. E ci sono i furbi in altra maniera, come Teresa Michel. Se aumentasse la percentuale di questi ultimi, ci guadagneremmo un po’ tutti, non c’è dubbio. Forse bisognerà decidersi una buona volta a rubare la ricetta segreta – ma non troppo – della «signora».  Rinunciare ai nostri piatti speciali e mescolare il tutto nella pentola comune. La minestra risulterebbe migliore. Per tutti.

 


 C’era sempre almeno un cartoccio di castagne

I “fioretti” che presentiamo riproducono momenti e tratti della vita della Madre. Essi sono scelti traendoli dagli episodi più significativi della sua biografia. Ancora una volta essi contribuiranno a mettere in luce l’intraprendenza ma anche la povertà degli inizi della congregazione ricreando quel clima evangelico di abbandono alla Divina Provvidenza. E proprio la fiducia in Dio riesce anche a supplire alla mancanza di cose che, talvolta, sembrano anche indispensabili, ma che comunque, non rappresentano un ostacolo a cogliere l’incanto del momento e di affrontarlo in un clima di semplicità di stampo francescano.

3ª Sequenza – B

Da: Una donna per sperare – Alessandro Pronzato

La compagnia “stringhini” – «La Madre era stata invitata ad acquistare una grande villa. – Andiamo a vederla, disse con la sua solita vivacità, pur non avendo un soldo in tasca. Con alcune suore visitò minutamente palazzo e parco, progettando scuole in un salone, ospedaletto in un altro, laboratorio in un terzo… All’uscita domandò all’incaricato del venditore il prezzo… – Centomila lire – rispose (una cifra enorme per quel tempo). La Madre stropicciò un piede nella ghiaia del giardino, e facendo vedere a una suora che perdeva la suola delle scarpe, rispose con la massima serietà: – “Veramente per noi è un po’ troppo…». Naturalmente si ripiegò su un edificio più modesto e alla portata delle scarpe – scalcagnate – della Madre. Le novizie avevano battezzato quel manipolo di suore intrepide, alla ricerca di lavoro e di capitali, con una definizione fulminante: «Compagnia stringhini». Nel senso che erano avvezze a stringere la cintura…

* * *

C’era sempre, almeno, un cartoccio di castagne secche – La Madre e alcune delle prime suore avevano fatto un lungo viaggio a piedi. Quindi lavoro e preghiera fino a tardi. La giornata era stata piena. Soltanto lo stomaco rimaneva vuoto. E stava per battere la mezzanotte. La più giovane della compagnia azzardò la domanda fatidica: – Ci manda a letto senza cena? La Madre disse di no. E si affrettò a tirar fuori un cartoccio di castagne secche… Si riproduce un certo ambiente dominato da una letizia di stampo francescano. Lo stomaco, qualche volta, risultava vuoto. In tal caso le castagne secche andavano benissimo. In compenso la vita era piena, totalmente riempita da quell’ideale affascinante e impegnativo, che Madre Teresa proponeva e incarnava. Nessun timore, comunque, per la salute. L’aria era ottima. Era un’aria di Vangelo… Molti anni dopo, stuzzicata dalle nuove arrivate a raccontare di quei tempi eroici, Madre Teresa si limitava a osservare: – Oh! siamo state molto originali-.

 


Quelle dei servizi segreti

Traendoli da fonte storica attendibile: “Una donna per sperare” di Alessandro Pronzato, e dal ricordo che ancora vivamente le suore più anziane ci tramandano, enucleiamo alcuni “Fioretti”. Li presentiamo perché trasmettono con efficacia e in maniera poetica lo spirito della Madre Fondatrice e delle origini dell’Istituto. Con la loro semplicità e innocenza di stile, sono la testimonianza della centralità del “povero” nella sua carità, e della predilezione verso coloro che, diversamente abili, lei considerava “i suoi tesori”, membri della sua grande famiglia, amati, rispettati, cristianamente e umanamente valorizzati. “Le era rimasta un’altra abitudine del periodo brillante: quella di circondarsi di un piccolo stuolo di «dame di compagnia». Era la sua corte personale, ci teneva. Prima di tutto c’erano quelle dei «servizi segreti». Incaricate delle missioni più delicate. Erano fidatissime. Non portando la divisa come le suore (si trattava di ricoverate), non si facevano notare e quindi potevano svolgere con la massima riservatezza il compito che veniva loro assegnato. La gente, certo, aveva imparato a conoscerle. Ma erano abilissime nel far perdere le proprie tracce e nell’eludere la curiosità. Salivano certe scale, sgattaiolavano in certe viuzze, s’infilavano in certi tuguri… E recapitavano le elemosine e gli aiuti della Madre a chi sapevano loro” (Pronzato). Tutte formano una sorta di pannelli naif che ci rendono ancora più ammirabile la loro presenza ed azione, ma ancora di più lo spirito della Madre che a questo modo le metteva in risalto ed evidenziava le loro potenzialità.

3ª Sequenza – C

Da: Una donna per sperare – Alessandro Pronzato

 La Beppa aveva ereditato l’asino e il carretto

C’era la Beppa –  Quando Alfredo e gli altri, ragazzi avevano dovuto andarsene, lei aveva ereditato l’asino con annesso carretto. E non li teneva certo disoccupati. Sempre in giro. Se le prime andavano a distribuire, la Beppa andava a raccogliere. Si rivelava dotata di un fiuto infallibile quando si trattava di scoprire un ricco con attitudini ad aprire il portafoglio o un povero che bisognava soccorrere con urgenza. Correva dalla Madre a segnalare le sue scoperte. Quando la Beppa morì, trovarono una cassetta misteriosa. Conteneva del denaro. Doveva servire per i suoi funerali, perché non voleva essere di peso alla Casa. Alcuni biglietti erano fuori corso…

* * *

Antonietta era la beniamina, si vedeva, lo sapevano tutti –  La chiamavano, per la sua fedeltà, il cane di san Rocco. Era quella, per intenderci, che rispondeva ai Rosari notturni di Madre Teresa. Don Torriani la conosceva bene e ne abbozza questo ritratto: «Quel che le mancava nella testa aveva di più nel cuore. Ci teneva immensamente a far commissioni, ma non sempre arrivava a buon fine. Dimenticava lettere presso negozianti, o in fondo a ceste di verdura, faceva frittate d’uova sul marciapiede, e le raccoglieva con la scopa; andava ad attendere suore alla stazione, e vi si addormentava per delle ore. A metà ottobre si eclissava; passava le giornate al cimitero per pulire ed ornare tutte le tombe delle suore e delle ricoverate in vista della commemorazione dei defunti; ma anche lì trovava modo di combinarne delle sue, infangandosi e bagnandosi da capo a piedi…»

* * *

Giorgina, abilitata  dalla Madre a sorvegliare le «buone figlie»-  Era una delle prime ricoverate e aveva ben appreso lo spirito dell’Opera. Per una caduta riportata quand’era bambina era rimasta piccolissima e minuta. E aveva dei grossi problemi nel farsi rispettare  – lei già adulta – da fanciulle tanto più grandi di lei. Ma, in generale, si arrangiava mica male. Quando morì, la madre ne scrisse questo elogio: “In questi giorni abbiamo perduto la nostra Giorgina… era intelligente, buona, affezionata alla casa che l’aveva accolta bambina; fece una morte da santa, e speriamo che sarà nostra protettrice in Cielo”.

* * *

Carolina la conoscevano in banca e negli uffici –  Diamine, «aveva la firma», e quindi era autorizzata a compiere tutte le operazioni finanziarie per conto dell’Istituto. «La giornata non era bella se per dieci volte almeno non usciva per commissioni di fiducia. Guai se la Madre si valeva dell’opera d’altri; si angosciava nel dubbio che non le volesse più bene. Bisognava ricorrere allo stratagemma di mandarla a spedire le lettere una per volta, perché la giornata fosse ben colma di predilezione» (Torriani). La sua morte seguì di poco quella della Madre. Aveva più di ottant’anni. Aveva dato molto tempo prima delle precise disposizioni per i funerali. Ripeteva a tutti: «Quando morirò, fate un gran corteo al funerale, così tutti gli impiegati che riconoscevano la mia firma, avranno un “requiem” per la fiduciaria della Madre». Purtroppo se ne andò nel momento meno opportuno. C’era stato un bombardamento aereo e in città avevano proibito tutti i cortei. Dovette accontentarsi dell’elogio funebre sulla porta della chiesa. Meritatissimo.

* * *

Questi, dunque, alcuni personaggi della corte di colei che tutti chiamavano «Signora Madre» e che, anche in tali scelte, dimostrava il proprio intuito umano e la propria predilezione di stile evangelico. Sì. Lei era la «Signora Madre» e attorno a lei ruotavano le elemosiniere, la Beppa del carretto, la Giorgina della sorveglianza, l’Antonietta delle frittate, e la Carolina della firma. Era fiera di quella compagnia. L’aveva selezionata accuratamente. E trattandosi di una signora di nobile lignaggio, teneva anche lo stemma, con il motto: «Non valgo un bottone ». Non c’è da ridere. Diceva e faceva sul serio.

 


 … Scrivigli una bella lettera, mettila sotto alla sua statua e vedrai!

Una tipica affermazione di San Giovanni Damasceno, recita che “La provvidenza consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di ciò che esiste. Essa rappresenta, inoltre, quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento” (Esposizione della fede ortodossa, 2,29).La B. Teresa Michel era particolarmente devota alla Divina Provvidenza; le intitolò l’istituto di carità da lei fondato, nella convinzione che essa non avrebbe fatto mancare il necessario per sostenerne l’opera.Parlava della Provvidenza come della “…nostra assoluta padrona, che provvede e provvederà sempre più generosamente ai suoi figli a misura che questi avranno maggiore confidenza e fede in Essa”. Al fine di rendere più facile la comprensione del senso di fiducia che Madre Teresa riponeva nella Divina Provvidenza, riportiamo alcuni fatti concreti, tutti rigorosamente documentati, – i fioretti di Madre Michel – che denotano la mano Divina nell’Opera.

3ª Sequenza – D

Dal libro: La Beata Teresa Grillo Michel – Carlo Torriani

 Agli inizi dell’Opera, Madre Teresa diede fondo a tutto il suo patrimonio… Poi intervenne la Provvidenza.

  Ricorda una ex superiora che la Fondatrice era andata a visitare una filiale lontana e poverissima. Al momento di partire la Madre chiese: – Hai qualche soldo da darmi per il biglietto di viaggio…? – La suora rovistò in tutti i cassetti, ma tra lei e la superiora generale non si racimolò tanto da coprire il costo del biglietto; mancavano ancora due soldi. La Madre rideva di gusto: – Non ti affliggere, disse, la Divina Provvidenza ispirerà a qualche anima buona di darmi una elemosina. Diciamo tre «Ave Maria» di cuore. – Poi se ne partì, e qualche giorno dopo scrisse che la Divina Provvidenza aveva provveduto e molto bene.

*   Ai laici angosciati, sofferenti, ispirava con parole materne la fiducia nella Divina Provvidenza, e si rallegrava quando essi raccontavano che la Divina Provvidenza non li aveva abbandonati nelle necessità di famiglie numerose, o in casi disperati. – Venite qui – diceva allora a tutte le suore che poteva raccogliere – e sentite come questa signorina è stata visibilmente assistita dal Signore. Signorina, ripeta, per favore, quanto già mi disse…

  Durante gli esercizi del 1922 la Madre raccomandò alle figlie di intercedere presso la Divina Provvidenza secondo la sua intenzione. Una suora, tra le più curiose, avendo occasione di parlarle: – Mi dica per piacere – le chiese – quello di cui ha bisogno. – Quattro mila lire per questa sera…! rispose gentile come sempre, facendole una carezza,… – Misericordia! – commentò la suora e corse in Cappella. Alle quattro del pomeriggio arrivò una signora recante un rotolo; erano proprio le quattro mila lire che si dovevano pagare per il latte.

  La stessa sorpresa ebbe una sua cugina un giorno che la trovò insolitamente preoccupata. – Ho mancato di fede – confessò la Madre – dovevo impegnare una camera in città per un povero uomo, ma non avevo soldi. Preghiamo la D. Provvidenza che me li mandi prima di stasera perché possa dare la caparra… Quando la cugina uscì, sotto l’androne trovò un rotolo anonimo con i denari necessari.

***

L’intercessione dei Santi era invocata, nei momenti di crisi, nei modi più diversi.

  – Signora Madre – annunciava la cuoca – per stasera mancherà il pane… –
– Andiamo tutte a dire tredici «Pater» a S. Antonio. – Senza frapporre indugio, tutte, dietro il suo esempio, correvano a inginocchiarsi dinanzi al quadro del Taumaturgo. Verso sera si apriva la cassetta delle elemosine e compariva qualche biglietto di Stato.

  Altra volta si ricorreva a S. Giuseppe. – Signora Madre, per domani non c’è proprio nulla da mettere nelle pentole – . – Figlia mia, queste cose le devi dire a S. Giuseppe, capo della S. Famiglia. Scrivigli una bella lettera, mettila sotto alla sua statua e vedrai! – La cuoca vergava il messaggio per ubbidienza. Possiamo immaginare le sue difficoltà: cercare la carta, il calamaio, il pennino nuovo, cercare le parole più appropriate (dare del voi o del lei?). Per fortuna non aveva da turbarsi per gli errori di grammatica e di ortografia perché S. Giuseppe, uomo giusto, accettava tutto con carità immensa. In punta di piedi, aspettando che non vi fossero dei curiosi in chiesa, ecco il messaggio presentato nello strano modo indicato… Prima di sera un carro si fermava alla porta del monastero, trainato da due cavalli con un abbondante carico di vettovaglie.

*   E San Gaetano, Padre della Divina Provvidenza? Si può ben dire che si era offerto di fare il Patrono senza che nessuno lo chiamasse. Un giorno, infatti, una signorina ne portò il suo quadro al Piccolo Ricovero e lo regalò con un biglietto da cento lire. – Benvenuto, S. Gaetano – disse la suora portinaia; oggi le ricoverate non avevano che insalata da mangiare. Altra volta, mentre si pregava in Cappella invocando il pane, la Superiora cercò di sistemare il quadro e ne caddero alcuni biglietti da dieci lire.

***

Il campo sperimentale della fiducia è quasi sempre quello della cucina.

  E perciò la Madre era abituata a visitarlo ogni giorno, a confortare e benedire le cuoche come fossero i soldati delle trincee avanzate. E le protagoniste di quella che si poteva chiamare la prova del fuoco, sono di solito le postulanti e le novizie che debbono superarla. Buone ragazze, innamorate della loro vocazione, lasciano la comodità delle loro famiglie, ove, per quanto povere, non manca mai la farina per la polenta e la legna per cuocerla. Arrivano entusiaste, disposte ad andare fino al martirio. Ma non immaginano quale specie di martirio le attende subito: preparare il pranzo a pentole vuote. Durante la prima guerra mondiale le suore anziane erano addette agli Ospedali Militari, e alla cucina del Piccolo Ricovero erano restate quattro postulanti con l’incarico di provvedere alla colazione e alla merenda e ad imbandire cena e pranzo per i poveri e per le suore professe. Come fare? se una cosa mancava, l’altra era scarsa; la dispensiera poi misurava ogni cosa a grammi. – Signora Madre – protestò tra le lacrime una delle fanciulle – non si può fare il pranzo; poco riso, nessun condimento… Non si va avanti così.., io torno a casa mia… – La Madre lasciò che la postulante si sfogasse, poi l’abbracciò, le fece un segno di Croce in fronte, e mettendole un dito sulla bocca per invitarla al silenzio, disse: – Figlia mia, abbi fede, la Provvidenza è alla porta; sta di buon umore, e vedrai quanto è buono il Signore… Viva Gesù!- E quella volta arrivarono due pentolini di latte, e un carro di cavoli.

*   – Signora Madre, oggi non abbiamo neppure la legna per accendere il fuoco –  osservò un’altra volta la postulante, con trepidazione. – Deo gratias! È segno che la Divina Provvidenza vorrà mandare il pranzo già cotto. Andate a pregare il Sacro Cuore! Dopo mezzogiorno difatti giunsero due pentoloni di minestra calda, avanzo di qualche grande pranzo in città.

 

E quella volta arrivarono due pentolini di latte, e un carro di cavoli…

 


 

 Era mamma finalmente!

Riportiamo alcuni episodi della vita di Madre Michel che, in maniera immediata e semplice, testimoniano la sua attitudine a farsi piccola coi piccoli e a servirli con la tenerezza di una madre. Questi fioretti – quadretti vivaci, semplici e limpidi – permettono di conoscere in modo più circostanziato la sua ispirazione religiosa, che si fonda sulla carità, e guidano a comprendere la fisionomia e i modi dominanti della sua santità ed esemplarità.

3ª Sequenza – E

Dal libro: La Beata Teresa Grillo Michel – Carlo Torriani

Era «mamma» finalmente! – Una sera due confratelli della San Vincenzo vennero a metterla al corrente di un fatto pietoso. Era stato arrestato, colpevole o no, un padre di famiglia, vedovo: tre bambini erano rimasti nelle mani dei vicini che naturalmente avevano poca voglia di assisterli e mantenerli. Dove indirizzarli…? – Dove…?: Qui, subito, a casa mia, rispose lieta la signora; vedrò poi di affidarli a qualche istituto. I due confratelli non se lo fecero ripetere, volarono le scale e dopo mezz’ora ritornavano trionfanti con due marmocchietti ed una bimba. Donna Teresa li abbracciò tutti e tre; poi ordinò ad Alfonso una cena con i fiocchi, pettinò la bambina, lavò i tre musetti e le sei manine; fece sedere i piccoli a tavola, annodando al collo di ognuno una salvietta che copriva tutto il corpo, e si divertì un mondo nel vederli trasognati, sedere su di una serie di cuscini (le sedie erano troppo basse per loro) e mangiare di gusto. Fece intanto preparare il letto per i maschietti, e sistemò essa stessa nella propria camera con divano e guanciali un nido per la bambina. Dopo cena li fece giocare, fece recitare loro le orazioni, non dimenticando la loro mamma morta e il padre in carcere, e li mise a dormire tra le lenzuola, le più fini e le più bianche che non si fossero mai vedute. A tarda notte, dopo le preghiere, andò anch’essa a coricarsi. Si soffermò a lungo ad ammirare la piccola innocente che dormiva nel letto improvvisato, e piano piano posò un bacio sulla sua testina. Era «mamma» finalmente!

***

Natale in tribunale…

Donna Teresa, la mia mamma – Un giorno Donna Teresa si vide citata a Voghera per il processo contro un giovane. Era un certo Natale, che due anni prima era scappato dall’Istituto attraverso il tetto. Appena la Madre entrò nell’aula, l’imputato si diede a singhiozzare e ad invocare: – Donna Teresa, la mia mamma, perdono, perdono!Lasignora corse ad abbracciarlo; tutta l’assemblea si commosse, ed i giudici furono indulgenti. Parve di assistere a uno dei «fioretti» che si raccontano di Padre Lino da Parma.

***

Un posto c’era ancora: nella sua camera – Essa non volle mai contare il numero dei ricoverati e delle persone aiutate con sussidi. Centinaia e centinaia di poveretti vennero ricevuti, vestiti, alimentati, istruiti, o in qualche modo soccorsi: prima dal suo patrimonio personale, poi dalle elargizioni della gente sollecitata dalla sua questua, e dal poco provento del lavoro eseguito nell’interno. Non si era pensato, organizzando il Piccolo Ricovero, a preparare una camera d’isolamento per le malattie infettive. Quando il primo caso si verificò e il medico ordinò di isolare un malatino, Donna Teresa risolse molto in fretta il problema: mise il piccolo a dormire nel suo letto e lei si adattò alla meglio sulla poltrona. Del resto il sistema non era nuovo: quando dalle assistenti si rifiutava l’ospitalità a qualche povero perché non c’era posto, la fondatrice subito s’impietosiva, e protestava che un posto c’era ancora: nella sua camera. Quante volte passò la notte sulla poltrona perchè aveva ceduto il letto ad altri!

***

Visitare una gran signora –  Fino a quando poté camminare speditamente, Madre Teresa non risparmiò le visite a domicilio ai poveri. Se le veniva all’orecchio una disgrazia, una necessità da parte di qualche famiglia, si faceva accompagnare da una suora, o da una ricoverata, a quella casa. E parlava con i poveri in un dialetto suo speciale, piacevolissimo, un misto di alessandrino e di torinese. «Un giorno la Madre mi disse di prepararmi perché l’avrei accompagnata a visitare una gran signora (così racconta una suora). Tutta lieta mi posi al suo fianco. Per le vie della città non facemmo che pregare, poi, entrate in un portone, salimmo su su, fino ai tetti. In una soffitta giaceva a letto una povera vecchietta, che accolse la Madre con grande festa. Madre Teresa le si sedette accanto, la confortò con dolci parole, le consegnò un pacco e del denaro; poi la salutò e ridiscendemmo le lunghe scale. – E dalla gran signora, non andiamo Madre? – osai chiedere. – Ci siamo già state, mia figliola, – rispose col suo bel sorriso. – Tutte le persone povere devono essere le nostre grandi signore; nei poveri, specialmente quelli più abbandonati, dobbiamo vedere Gesù.

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